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Scelte differenti

Summary:

Questa è un’alternativa. Il modo in cui avrebbero potuto andare le cose se fossero state prese altre decisioni, percorsi alternativi. Se si fosse agito con il medesimo scopo, ma con maggior chiarezza e trasparenza. Questa è una possibilità di redenzione, di riconoscimento. Una variante non considerata, ma comunque possibile. La storia di un incontro differente fra Charlie e Johnny.

Chapter 1: Capitolo Uno - L’incarico

Chapter Text

«Vede, Tenente, lei è un ragazzo in gamba e dalle molteplici risorse. Proprio per questo ho intenzione di affidarle una missione all’altezza delle sue ottime qualità: individuare, scovare e possibilmente sgominare una banda di allibratori clandestini che opera qui in Florida.»

 

Il guardiamarina Johnny Firpo osserva con acuto interesse il suo superiore, l’Ammiraglio O’Connor, provando a immaginare il legame che dovrebbe esistere fra la Marina e le scommesse clandestine.

 

«Mi spiego meglio» aggiunge l’Ammiraglio. «Troppi dei nostri ragazzi si sono rovinati a causa delle scommesse. Dobbiamo intervenire!» esclama, visibilmente preoccupato. Posa lo sguardo sul giovanotto che resta impettito e sicuro davanti ai suoi occhi compiaciuti. «Sono cosciente che lei non ha dimestichezza con il gioco d’azzardo. Per questo motivo ho creduto opportuno proporle l’idea di affiancarsi a una persona esperta in questo campo, e che soprattutto abbia dimestichezza con quell’infido ambiente in cui lei dovrà operare. Lei… ebbene, sono certo conosca già il soggetto di cui parlo» azzarda, un lieve sorriso furbo che fa capolino all’angolo delle labbra.

 

Il guardiamarina aggrotta la fronte, per un momento preso in contropiede. Poi sembra comprendere il sottinteso del superiore. «Penso di capire» commenta rassegnato.

 

«Glielo mostro, vuole?» propone l’Ammiraglio, rivelando per lui una vecchia fotografia.

 

Johnny sospira e offre un sorriso ironico. «Già, ho proprio la sensazione di conoscerlo.»

 

«Oh, lo credo bene! Oltretutto è un personaggio abbastanza famoso, nell’ambiente delle scommesse» rincara O’Connor.

 

«Ho il presentimento che non sarà felice della sua idea, Ammiraglio» prova a metterlo in guardia.

 

Il superiore annuisce, in parte concorde con il giudizio del sottoposto. «Ma lei, Tenente, è un ragazzo sveglio e capace. Sono certo che troverà facilmente il modo di persuaderlo a lavorare al nostro fianco. Dico bene?»

 

Il guardiamarina raddrizza ancor di più la schiena, solleva appena il mento e accenna una secca conferma. «Sissignore» dichiara sicuro. Per quanto, lo sa meglio di chiunque altro, in quella situazione non c’è assolutamente nulla di sicuro.

 

 

Una delle autovetture in dotazione alla Marina lo sta accompagnando fuori città, diretta verso una delle tante stazioni di sosta che disseminano le statali. Diretta da lui . È ancora abbastanza indeciso sulla linea d’azione che gli converrebbe seguire. Charlie non è interessato a lui. No, questa è una grossa fesseria; è più esatto affermare che lo detesta con sentimento. Ad avvalorare questa tesi c’è il fatto che non si è mai preoccupato di incontrare il suo fratellastro, di conoscerlo, di sapere qualche cosa della sua esistenza. Ha preferito ignorarlo, fingere che non sia mai esistito. Johnny, da parte sua, ha evitato con cura di finire dritto in traiettoria, per non incappare in guai certi. Tuttavia si è comunque tenuto informato, perché… Perché? Non è troppo sicuro di conoscere la risposta corretta a questa domanda. Forse perché, tolto il padre, Charlie è il suo unico famigliare. È pur sempre qualcosa. Forse. Johnny sa chi è stato Charlie nella sua vita passata e quel che fa adesso, e sa che non sarà disposto ad aiutarlo, non di sua spontanea volontà, almeno. Potrebbe offrirgli qualche cosa in cambio della sua collaborazione? Probabilmente no. Perché mai vorrebbe accettare qualcosa da lui? Già: perché? Che cosa interessa veramente a Charlie? Obiettivi chiari e vita regolare, per quel che ha dedotto dalla sua condotta e dalle sue recenti scelte di vita.

 

Ridacchia, mezzo steso sul sedile posteriore, facendo parzialmente voltare l’autista che, voltandosi appena, inarca un sopracciglio e lo squadra interdetto. Fa spallucce e gli dà a intendere di sorvolare con un movimento incurante della mano. Gli obiettivi chiari ci sarebbero anche, ma se gli capitasse fra i piedi con tutte le sue ottime ragioni, sarebbe già un miracolo uscirne tutti interi. Per quanto riguarda la vita regolare… Beh, ecco, tutto dipende da cosa si intende con regolare . La sua vita è di certo più regolare di quella del loro padre, e a ben vedere anche di quella che aveva Charlie prima, ma decisamente meno di quella che lo sta tenendo occupato ora.

 

Sospira, inarcando la schiena e arrovellandosi inutilmente. Si sta facendo troppe illusioni, chiaramente. Charlie neppure si prenderà la briga di ascoltarlo, nel momento in cui scoprirà chi ha di fronte. Si mordicchia le labbra, riflettendo. Può evitare di rivelargli la sua identità e ottenere comunque l’aiuto di cui ha bisogno? Potrebbe provarci. Ma se lo venisse a scoprire in un secondo momento, finirebbe molto male. E Johnny non ha troppa voglia di scoprire fin dove può arrivare il suo risentimento. Ne ha già abbastanza di quel che ha ottenuto fino a quel momento, vale a dire: assolutamente niente, silenzio e disinteresse totali. Nulla di piacevole, insomma.

 

Sbuffa frustrato, dando un lieve calcio al tettuccio dell’auto e guadagnandosi l’ennesima occhiata in tralice dall’autista. “Sì, bravo: guarda, guarda pure; intanto tu non ce l’hai un fratellastro che ti romperà le ossa, con gran godimento, nel momento stesso in cui capirà chi si è ritrovato fra i piedi!” pensa amareggiato. Accidenti! Ma non può fare granché, in quella storia ingarbugliata di scommesse e gioco d’azzardo, non senza il suo aiuto. E questo è il problema più grosso… Cioè, tolto Charlie stesso.

 

Si imbroncia. Pensa. Potrebbe chiedere aiuto al padre? Lui di certo sarebbe più semplice da accontentare. I suoi gusti sono del tutto basilari: vuole avere le tasche piene di soldi facili, per potersi divertire a piacimento e senza pensieri, niente di più. Ma sarebbe davvero di qualche utilità, a conti fatti? Charlie ha tagliato i ponti anche con Mike Firpo: niente più famiglia, per lui. Dovrebbe esserci una ragione maledettamente buona per farlo tornare sui suoi passi.

 

Un piccolo gemito sconsolato fa vibrare la sua gola. Ma, insomma: che idea balorda ha avuto l’Ammiraglio! Per forza di cose loro due doveva mettere in mezzo, in questa faccenda spinosa?

 

«Siamo quasi arrivati» lo avvisa d’un tratto l’autista.

 

Si solleva appena, sbirciando dal finestrino il paesaggio all’esterno che scorre monotono. Storce le labbra in una smorfia infelice. Non ha ancora trovato una soluzione ai suoi problemi, e il tempo è ormai agli sgoccioli. Tra poco sarà da lui e dovrà assolutamente inventarsi qualcosa che lo induca a dargli uno straccio di possibilità. Prima, ovviamente, che decida di farlo volare fuori dalla finestra e voltargli le spalle, di nuovo. Sarà difficile. Ma, dopo tutto, non impossibile.

 

Le sue labbra tornano a distendersi in una morbida piega, intreccia le braccia dietro la nuca e chiude gli occhi, immaginando il suo prossimo futuro sotto una luce più ottimistica.

Chapter 2: Capitolo Due - Primo incontro

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È nervoso? Accidenti, certo che lo è! Lui non è ancora arrivato, ma non dubita che a breve parcheggerà il suo camion ed entrerà nella tavola calda, proprio da quella porta lì al centro delle vetrine che affacciano sulla statale. Si è piazzato nell’angolo in fondo, importunando con insistenza un povero flipper innocente per ingannare l’attesa, e anche per tenere d’occhio la strada. Di tanto in tanto, l’omino che manda avanti la baracca lo adocchia, incuriosito. Johnny finge con molto impegno di non vedere la sua espressione interessata. Forse dovrebbe ordinargli qualcosa da bere, almeno per tenerselo buono. Ma non ha molta voglia di mandar giù bevande; probabilmente gli si incastrerebbero in gola e ci si strozzerebbe… Pensa un po’ che bellezza sarebbe, finire soffocato dalla spremuta d’arancia prima ancora di essere finalmente riuscito a dare la sua prima occhiata ravvicinata al fratellastro! Molto divertente, vero? Peccato che non si potrebbe godere la vista di Charlie che guarda storto la sua bara mentre cala nella fossa; però può tranquillamente immaginare la scena: davvero esilarante!

 

Scuote la testa. Sta divagando in modo abbastanza insensato, provando a non pensare a quel che lo attende al varco; e intanto il camion che aspetta non si vede ancora! Sbuffa irritato, fa volare la pallina nel flipper con un gesto nervoso e torna con un’occhiata rapida a guardare la strada polverosa. Che fa, ora: batte la fiacca giusto il giorno in cui ha deciso di farsi picchiare? È seccante. Forse i delfini gli hanno dato qualche noia e ha dovuto fare una sosta imprevista.

 

«Amico, stai sprecando parecchie energie, eh. Non lo vorresti qualcosa di sostanzioso da mandar giù?» prova l’omino dietro il bancone, con un sorriso speranzoso.

 

Assottiglia lo sguardo, fissando con impegno la pallina che schizza via, sforzandosi di ignorare gli occhi dell’omino appuntati con insistenza su di lui. Quanto tempo ci impiega, Charlie, ad arrivare, insomma? E mentre la pallina rintocca per l’ennesima volta e manda in visibilio le lucette del flipper, un’ombra offusca la giornata soleggiata fuori dalle vetrine e lo stridio dei freni gli mozza il respiro. I suoi occhi azzurri dardeggiano sull’esterno e si soffermano un lungo istante sulla silhouette grigia di un grosso camion autoarticolato che, proprio in quel momento, sta facendo manovra sul piazzale. Deglutisce, fa rimbalzare via la pallina e prova a trarre un respiro decente.

 

Beh, finalmente è arrivato. Ora che si fa? No lo sa proprio. Ecco il problema. Non è ancora riuscito a decidere in che modo affrontarlo. Forse gli serve guardarlo in faccia, per prendere la sua decisione… O forse sta semplicemente facendo il vigliacco. Una smorfia contrariata distorce le sue labbra, la pallina vola in cima al flipper, il campanello d’entrata trilla allegro. È tardi. Lui sta entrando ed è il momento di prendere una decisione.

 

 

«Ciao, Pedro» si annuncia Charlie.

 

«Ciao, Charlie» saluta prontamente l’omino dietro il bancone.

 

Ecco, ha appena scoperto com’è che si chiama l’omino. Non che conti di tornare in quella tavola calda una seconda volta, ben inteso. Il gestore, questo Pedro, è un po’ troppo impiccione per i suoi gusti.

 

«Oggi ce l’hai il pesce?» chiede Charlie.

 

Oh, giusto: i delfini. Chissà come se la passano, i poveretti, dentro quell’ammasso di ferraglia? Spera bene. Se sopravvive all’incontro, magari ci farà una chiacchierata, giusto per assicurarsi che non li abbiano troppo maltrattati.

 

Pedro ha puntualizzato che il pesce, oggi, è fresco. Vorrà intendere che quello degli altri giorni non lo è? Mah... Oh, accipicchia, Charlie lo sta fissando! Ma non è pronto, accidenti, non ancora. È troppo nervoso, e sta maltrattando il flipper sperando di darsi una calmata. Non funziona per niente. Pedro l’impiccione commenta in maniera abbastanza odiosa il suo comportamento incomprensibile. Ha deciso che gli renderà il favore, prima di andarsene. Magari, alla prossima occasione, la lezioncina gli rammenterà di non ficcare troppo il suo ingombrante naso nei problemi altrui.

 

Charlie chiede a Pedro venticinque chili di pesce e Johnny, alla vista dell’espressione attonita del gestore, si lascia sfuggire una mezza risata che maschera prontamente con un altro punto al flipper. E va bene, quindi questo è il momento buono. O magari no, ma si sta facendo tardi e non può certo permettersi che se ne vada per la sua strada senza averci scambiato almeno qualche parola, giusto?

 

Nel frattempo Charlie ha specificato a Pedro che il pesce gli serve crudo e ha ordinato per sé hamburger e birra. Prende un bel respiro, lascia finalmente in pace il maltrattato flipper e si avvicina al bancone.

 

«È per i delfini, il pesce, dico bene?»

 

L’occhiataccia che gli rifila il fratellastro non promette risvolti piacevoli, eppure, curiosamente riesce nell’improbabile compito di farlo sorridere.

 

«E tu che ne sai?»

 

«Beh, è una semplice deduzione: tu ordini venticinque chili di pesce crudo, che dubito possa trovare spazio nel tuo stomaco, anche se ammetto che è bello grosso. E in più guidi un camion in direzione Miami, proprio dove c’è l’acquario che, guarda caso, stava giusto attendendo l’arrivo dei tuoi delfini. È facile!» esclama Johnny, con un gran sorriso.

 

Charlie lo soppesa per qualche lungo momento, l’espressione scettica e sospettosa. «Noi non ci conosciamo, vero? Perché ho l’impressione di averti già visto in giro. Non è che per caso hai un fratello nero?»

 

Johnny sfarfalla le ciglia, preso in contropiede. «Non che io sappia» tentenna, perplesso.

 

«Eppure… Tu hai proprio una faccia famigliare.»

 

Beh, accidenti, ha idea che non gli rimangano poi troppe scelte, a quel punto. E si appresta sul serio per spiegargli tutto quanto, problema degli allibratori clandestini compreso. Ma prima che ne trovi il tempo, dalla porta a vetri entrano tre tizi che così, a prima vista, sembrano proprio degli avanzi di galera, con una piccola slot machine cromata al seguito. Altri guai in vista, da quel che sembra; giusto perché non ne aveva a sufficienza fino a quel momento! Sospira scoraggiato e si sistema comodo per scoprire quel che accadrà di lì a breve.

 

I tre brutti ceffi appena arrivati sembrano proprio gli scagnozzi di qualche personaggio losco. Chissà se conoscono la banda di allibratori di cui parlava l’Ammiraglio. Immagina un po’ che fortuna sarebbe, se si ritrovasse sotto mano della gente collegata al caso che sta seguendo… Abbastanza improbabile, non c’è dubbio, ma tentar non nuoce, dopo tutto.

 

Si scopre presto che i tre vogliono obbligare Pedro a tenere nel suo locale quella loro macchinetta mangiasoldi, anche se tutti quanti sanno perfettamente che è illegale (o magari proprio perché lo sanno). Forse non saranno gli allibratori che sta tentando di scovare, ma di certo sono dei criminali senza scrupoli. D’accordo, gli toccherà di risolvere quel problema, prima di poter tornare al suo arduo compito di convincere Charlie a collaborare. In fondo è pur sempre un guardiamarina: serve che si dia da fare per combattere l’illegalità; i suoi superiori sarebbero delusi del contrario, giusto? E c’è anche da preservare la tavola calda, nonostante il fatto che Pedro resta comunque un insopportabile impiccione.

 

 

Osserva, scettico e divertito, i tre scemi che se la danno a gambe dopo aver ricevuto una bella lezione. Ce n’erano altri due, di scagnozzi, assieme a quelli della slot machine, che non hanno comunque fatto una fine migliore. Si domanda se dovrebbe seguirli, per scoprire se fanno capo a qualche organizzazione collegata al gioco d’azzardo. Ma Charlie sembra si stia preparando a levare le tende, e non ha proprio il tempo di stare alle calcagna di quella gente, ora. Deve spicciarsi a spiegare la sua missione al fratello. Cioè, sempre che abbia la pazienza di starlo a sentire fino alla fine. Non ne ha affatto l’aria, per la verità. Gli hanno rovinato la torta, quegli scemi della macchinetta mangiasoldi, e ora sembra abbastanza irritato. Ma proprio tanto.

 

«Di’, me lo daresti, un passaggio fino a Miami?» tenta, abbastanza disperato.

 

«Non do mai passaggi agli sconosciuti» rifiuta Charlie. «Pure quando hanno una faccia che mi ricorda qualcuno» commenta, ancora abbastanza stranito.

 

«Scommetti che riuscirò comunque a salire sul tuo camion?»

 

«Io non scommetto mai. Ho giurato, anni fa, che avrei smesso, e non intendo infrangere quella promessa» replica irremovibile.

 

«Ma, Charlie…» affanna, girandogli attorno irrequieto.

 

«Oh! Com’è che ora sai anche il mio nome?»

 

«L’ha detto quel cavolo di Pedro, il tuo nome!» protesta spazientito.

 

«Ah, già» borbotta confuso. Per qualche ragione che non si sa ben spiegare, il tipo biondo gli mette ansia.

 

«Andiamo, per favore. Ho bisogno di parlarti» insiste Johnny.

 

«Ma si può sapere che vuoi? Nemmeno ti conosco!»

 

«Sì che mi conosci! Io sono Johnny!» sbotta irritato.

 

«Un po’ come quasi un terzo del paese, a momenti. Ah, certo: adesso sì che ho tutto più chiaro in testa, eh?» lo sfotte, prendendo la strada verso l’uscita, cassa del pesce alla mano, per tornare al suo camion e ai suoi delfini.


Lo raggiunge sul piazzale e gli sbarra la strada prima che possa raggiungere il suo veicolo. « Jonathan Firpo , Charlie. Ti è più chiaro, così?»

Chapter 3: Capitolo Tre - Contromisure

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Charlie assottiglia gli occhi e lo fissa in maniera niente affatto benevola. Deglutisce inquieto, prova una risatina che gli si inceppa in gola. Dovrebbe dire qualche cosa, probabilmente. Ma non è troppo ansioso di complicare ulteriormente la faccenda.

 

«E perché sei qui?» indaga, in un tono ancora più sospettoso di prima.

 

«Ecco, ti ho cercato per chiederti un favore.»

 

«Mi hai… cercato

 

«Eh, già, perché vedi, ho un piccolo problema e pensavo che tu potessi…»

 

«Scordatelo» sbotta definitivo, facendolo sussultare.

 

«Ma, Charlie, non hai ancora sentito quel che volevo chiederti» espone ragionevole.

 

«E nemmeno mi interessa sentirlo. Non ricordo di aver organizzato nessuna rimpatriata familiare . Quindi sloggia» rimarca asciutto.

 

«Charlie, aspetta…» affanna, alle calcagna del fratellastro poco collaborativo. Si sta già arrampicando in cabina, quest’ultimo, quando Johnny si aggrappa alla portiera e insiste. «Fammi almeno spiegare.»

 

«Fammi invece tu un gran favore: cercatene un altro. Tanti saluti» decreta, chiudendo simultaneamente la conversazione e lo sportello.

 

 

Fissa con mestizia il camion che esce dal parcheggio della tavola calda e si reimmette in statale. Riflette, dubbioso, dondolandosi sui talloni. Nel frattempo Brian, l’autista fornitogli dalla Marina, gli si avvicina e lo fissa con malcelato compatimento.

 

«Beh, non è andata troppo male» prova leggero, sogghignando al suo indirizzo.

 

Brian sgrana gli occhi e sbuffa una mezza risata. « Non troppo male ? A un certo punto, ho pensato che ti avrebbe preso a calci.»

 

Si stringe nelle spalle, indeciso sul da farsi. «Nah… Sono pur sempre il suo fratellino, no?»

 

«Oh, sicuro. Come potrei non averlo notato? È così evidente» commenta sarcastico.

 

Johnny lo guarda, un po’ divertito suo malgrado. «Amico, sei proprio di grande aiuto, eh! Piuttosto, recupera l’auto. Dobbiamo raggiungere quel maledetto camion, così riuscirò a salirci a bordo, finalmente.»

 

«Se lo dici tu» commenta, abbastanza incredulo.

 

«Scommetti?»

 

«Ah, no! Le scommesse lasciamole a lui» protesta l’autista.

 

«Charlie non scommette più. Ma ancora non sa che sarà costretto a farlo di nuovo, e fin troppo presto» prevede, con un sogghigno mefistofelico.

 

Brian leva gli occhi al cielo e si allontana per tornare alla sua automobile, per poi accompagnare quello svitato dal fratellastro. Di nuovo. Spera di non doverlo scorrazzare in giro per la Florida per tutta la settimana a seguire; quei due sono un po’ troppo imprevedibili per i suoi gusti.

 

 

A proposito dell’imprevedibilità della famiglia Firpo, sta guardando uno dei due rampolli, proprio in quel momento, dallo specchietto retrovisore. Il soggetto in esame sta indossando un abito da monaca… Se solo avesse saputo prima che arruolarsi in Marina avrebbe portato a questo, ebbene, avrebbe preso in considerazione altre prospettive. Stringe i denti e si concentra sulla strada che ha davanti, per provare se non altro a scordare il guaio che sta prendendo il posto della sua bella e tanto agognata carriera tranquilla.

 

«Come sto?» lo distoglie dai suoi crucci Johnny.

 

Brian prova, senza risultati evidenti, a incenerirlo con uno sguardo. «Sei vestito da suora!»

 

«Sì, ottimo spirito di osservazione» sbuffa, levando gli occhi al cielo. «Ma come sto? Sembro credibile?»

 

Cruccia la fronte, incerto. Prova a far spaziare lo sguardo sull’insolito costume, nonostante la ristrettezza dello specchietto gli renda arduo il compito. «A prima vista, sembrerebbe di sì. Ma dubito reggerà a uno sguardo attento» lo mette in guardia.

 

Ora gli sorride, Johnny. Sul suo sedile dietro al volante, Brian si agita. Quel sorrisetto non promette nulla di buono. «Mi serve che regga per il tempo di salire a bordo. Lo sguardo attento arriverà in ritardo. Ci puoi contare.»

 

«Se lo dici tu» commenta, disincantato.

 

«Fidati» conferma Johnny.

 

Fidarsi? Non ci pensa nemmeno. La fortuna di Brian è che la sua parte si limita a scarrozzare Johnny in giro per il paese. Non è obbligato a fidarsi, giusto?

 

 

La scorge da lontano, e un piccolo sorriso contento sgomita per farsi spazio nel suo volto cespuglioso. Rallenta, mentre si passa le dita fra i capelli in disordine e nella barba, nel tentativo senza troppe speranze di rendersi maggiormente presentabile. Con tutte le cautele del caso, si porta a bordo strada, arresta il suo veicolo proprio prima della panchina che ospita suor Susanna e spalanca lo sportello del passeggero per permetterle di salire a bordo.

 

Gongolante, riprende la strada, e solo dopo qualche lungo momento si schiarisce la voce e prova a imbastire una conversazione civile con la piccola suora.

 

«Non mi aspettavo di rivedervi così presto, sapete? Dove siete diretta, quest’oggi?»

 

«A Miami, te l’ho detto» è l’inattesa replica.

 

Charlie sobbalza sul suo sedile e si volta di scatto, proprio mentre Johnny si sta levando la cuffia da monaca e cerca di sistemarsi i capelli scomposti.

 

«Tu!» ringhia, con la mezza idea di sbranarselo tutto intero e risputarlo sull’asfalto attraverso il finestrino aperto.

 

«Eh già! Perché, aspettavi forse qualcun altro?» lo sfotte Johnny, indirizzandogli un sorriso scintillante.

 

«T’ho già detto che qui non ti ci voglio! Te ne devi andare, hai capito?»

 

Johnny sospira e fa roteare gli occhi. «Facciamo in questo modo: prima io ti dico perché ti sto scocciando, poi tu decidi quel che vuoi fare» propone accomodante.

 

«Io lo so già quel che voglio fare. Voglio buttarti fuori e dimenticarmi della tua esistenza.»

 

«Charlie, questo, se ti ricordi bene, l’hai già fatto anni fa» gli fa notare imperturbabile.

 

Charlie si imbroncia, ma non trova nulla di sensato da replicare. Così si chiude in un ostinato mutismo e finge di essere da solo in quella cabina improvvisamente troppo stretta e asfissiante.

 

Johnny lo osserva di tanto in tanto, in tralice, e si chiede cosa possa passargli per la mente, e se sia il caso di insistere ancora o, forse, sia più saggio attendere un poco per farlo sbollire. Sempre che esista davvero l’opportunità che ciò accada. Ha il dubbio che la sua presenza sul sedile del passeggero non semplifichi affatto un eventuale ritorno alla normale civiltà. Stringe le labbra, riflettendo che, in ogni caso, dovrà farsi sentire di nuovo, e fin troppo presto per giunta, perché il tempo corre e non aspetta certo i comodi loro. Non ha neppure una buona pista da seguire per intercettare questa banda di allibratori di cui gli ha parlato l’Ammiraglio. Ma magari Charlie potrebbe avere una qualche idea utile. Deve solo trovare il modo per convincerlo a condividerla con lui. Praticamente un’impresa disperata, almeno a giudicare dal cruccio offuscato che distorce i lineamenti del fratellastro.

Chapter 4: Capitolo Quattro - Spiegazioni

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«Charlie…» prova, a un certo punto, distogliendo lo sguardo dalla striscia d’asfalto che scorre di fronte ai loro occhi e sbirciando in direzione del guidatore.

 

«Sta’ zitto» bercia l’interpellato.

 

«Mi serve davvero una mano, e se sto zitto non saprai mai di cosa si tratta» fa notare con prudenza.

 

«E a me non interessa sapere proprio nulla dei tuoi casini. Vivevo benissimo anche senza, fino a qualche ora fa. Grazie tante.»

 

Sgrana appena gli occhi azzurri e scuote la testa. «Vivevi benissimo, dici? Sul serio? Quindi, fammi capire: il tuo modello di vita ideale è viaggiare da un angolo all’altro dello stato e fregartene di tutto il resto?»

 

Charlie si volta, assottiglia gli occhi e arriccia le labbra. Mh, non esattamente la reazione drammatica che si aspettava. Poi, però, pigia sul freno con un po’ troppo vigore, facendo sbandare leggermente l’autoarticolato, e bruscamente si ferma a bordo strada.

 

«Scendi» sbotta, fissandolo con uno sguardo poco paziente.

 

«Cosa?» esclama sorpreso. Si guarda attorno, ma vede solo la solita statale e, tutto intorno, terreno incolto a perdita d’occhio. «Scherzi?»

 

«No, che non scherzo.»

 

«Ma, Charlie…»

 

«Scendi. O preferisci che ti butti giù io?»

 

Johnny si acciglia. Riflette. Forse Brian potrebbe passare a prenderlo, ma dovrebbe prima riuscire a contattarlo, e lì intorno non c’è nemmeno l’ombra di cabine telefoniche, mentre l’unica radio trasmittente sta sopra la testa del fratello. Non sembra un’idea eccellente provare ad allungarsi per contattare il suo autista, sempre che non desideri venire spiaccicato contro il finestrino.

 

«Posso contattare una persona?» prova.

 

Ecco, magari la prossima volta sarebbe meglio evitare determinate richieste, almeno a giudicare dall’espressione imbestialita del fratello. Bene: appuntato. Una delle enormi mani di Charlie lo afferra per il bavero e lo solleva dal sedile. Un “Hic!” sorpreso sfugge alla sua gola. Charlie si allunga, pigiandolo un momento contro la spalliera e togliendogli il fiato, nel tempo che impiega ad aprire lo sportello, poi lo spedisce direttamente fuori. Al volo. Letteralmente!

 

«Auh» è il commento un po’ scombussolato di Johnny.

 

Charlie si affaccia dalla cabina, lo soppesa, sembra soddisfatto di quel che ne ricava e torna sul lato guida. «Addio» commenta, prima di rimettere in moto.

 

Johnny balza in piedi, allarmato, e si precipita sullo sportello ancora aperto. «Aspetta!» esclama, aggrappato con tenacia alla maniglia.

 

«Sei una vera piattola» commenta Charlie, seccato.

 

«Per favore, ho davvero bisogno del tuo aiuto. Altrimenti non sarei qui a romperti le scatole» assicura. «O mi sarei inventato un diversivo per obbligarti a fare quel che mi serve.»

 

«Questo non mi rassicura affatto» tiene a precisare.

 

Johnny si imbroncia. «Lo so. Ma tu non fai nemmeno finta di starmi a sentire» protesta offeso.

 

Charlie si riaffaccia dalla cabina e lo osserva. Si gratta la testa. Ha l’aria frustrata e forse un poco divertita. Sospira.

 

«Sei proprio testardo, eh?» Johnny si stringe nelle spalle, ma non replica. «Sali» borbotta seccato.

 

Spalanca gli occhi e un incerto sorriso gli arriccia le labbra. «Davvero?» si accerta speranzoso.

 

«Sì, ma spicciati, prima che cambi idea» è la secca replica.

 

Il suo sorriso si spalanca. Il più rapidamente possibile, si arrampica di nuovo in cabina e richiude lo sportello, sospirando felice, perché non ha dovuto farsi un’incalcolabile quantità di miglia a piedi e perché, forse, riuscirà a discutere civilmente con il fratello.

 

 

«Ti ascolto» rompe il silenzio Charlie, dopo aver trascorso gran parte degli ultimi minuti a tentare di rilassarsi. Missione non troppo semplice.

 

«Mi è stato affidato un incarico. Ma non ho tutte le competenze necessarie per poterlo portare a buon fine da solo. E così mi hanno suggerito di rivolgermi a te. Pensavano che fosse la soluzione più semplice, immagino. Ma non lo è, vero?»

 

Charlie si volta appena e lo guarda con aria pensierosa, poi scuote la testa. «Eh, no, non lo è affatto. Chi ti ha dato questo incarico?»

 

«L’Ammiraglio O’Connor, della Marina militare.»

 

Le sue scure sopracciglia cespugliose si aggrottano, interdette. «La Marina? Perché?»

 

A Johnny sfugge una lieve risatina. «Perché, Charlie, ci lavoro. Sono un guardiamarina. L’Ammiraglio O’Connor è uno dei miei superiori e mi ha chiesto di occuparmi di questa faccenda.»

 

«Un guardiamarina… Da quando?»

 

Perplesso, impiega qualche secondo per raccapezzarsi. «Intendi da quanto tempo lavoro nella Marina? Più o meno da dieci anni. Perché?»

 

«No, niente, semplice curiosità. E quale sarebbe questa faccenda di cui parlavi?»

 

«Ah! Finalmente al sodo. Dunque: pare ci sia, qui in Florida, una banda di allibratori clandestini che sta mettendo nei guai, fra gli altri, anche alcuni dei ragazzi della Marina. Così l’Ammiraglio si è stufato della situazione e ha deciso di indagare e far finire questa storia una volta per tutte. O almeno, fino all’avvento di una nuova organizzazione. Beh, comunque sia, io ho di certo dei pregi, ma fra questi non c’è per niente la comprensione delle regole dei giochi d’azzardo. Quindi… Eccomi qui!»

 

Charlie sembra ancora parecchio contrariato e forse un po’ dubbioso. «Ma tu, di solito, che fai in Marina?»

 

«Dipende. Quando non sono occupato ad acchiappare gente che tenta di arricchirsi nella nostra giurisdizione, faccio gare sportive.»

 

Il fratello torna a fissarlo, stranito. «Gare sportive?» indaga perplesso.

 

«Esatto. Sono bravo negli sport. Quando c’è qualche gara tra, diciamo, Marina e Aeronautica, o Esercito, ci sono io, che tengo alto il nostro buon nome!» esclama esuberante. «Sai, a tutti piace avere qualche trofeo da esibire, anche a quelli che vanno in giro a comandare flotte navali. L’Ammiraglio, poi, ama avere la sua bella bacheca privata da rimirare quando ne ha voglia, e non è mica l’unico, in effetti» commenta divertito.

 

Charlie, tuttavia, non ha ancora perduto il suo cruccio. Sospira. «Pensavo ti occupassi di tutt’altro» ammette.

 

«Tipo cosa? Guidare sottomarini, incrociatori e roba simile? Conosco una quantità di lingue, per la verità, ma ti dirò:  sott’acqua, dentro una grossa scatola di metallo, ci starei abbastanza stretto, e anche la cuccetta di una nave non fa per me» ragiona, sbirciando il fratello e tentando di capire cosa lo disturba tanto. «Perché hai quella faccia, Charlie? T’ho dato fastidio di nuovo?»

 

«Eh? Ah, no. Cioè, è strano. Avevo certe mie convinzioni, ma sembra che le cose stiano in modo diverso.»

 

Johnny rimugina sulle parole del fratello e a un certo punto si illumina. «Ho capito. Pensi che ti stia raccontando un mucchio di frottole» lo stuzzica.

 

«Non sarebbe la prima volta» borbotta Charlie.

 

«In realtà sì, dato che non ti sei mai fatto vivo. Ma immagino ti riferissi a nostro padre.»

 

«Già, e siccome sei figlio suo…»

 

«Ma, Charlie, lo sei anche tu. Se può sommergerti di bugie lui, puoi farlo anche tu, non solo io. Comunque, sì, avevo diversi piani di riserva, e un paio erano anche piuttosto elaborati e contorti, e molto fantasiosi in effetti. Ma, sai, alla fine mi sono detto: perché non provare a parlarci da Firpo a Firpo. E così, eccomi qui» ripete, sorridendo divertito.

 

Charlie lo guarda male, perché tutto quel discorso intricato non ha per nulla concorso a schiarirgli le idee, né a levargli i suoi dubbi. Semmai il contrario. «Puoi dimostrare di avermi detto la verità?»

 

«Mhhh! Charlie, quanto sei diffidente!» protesta, esasperato. Ma infine fa spallucce e decide di assecondarlo. «Prestami il tuo baracchino.»

 

«Perché?» indaga sospettoso.

 

Johnny leva gli occhi al cielo. «Contattiamo un mio collega. Ma d’accordo, fallo tu. Sintonizza la radio sulla frequenza 10625-5995 e stiamo a sentire chi ci risponde.»

 

Non ha molta voglia di essere preso in giro. Ma, dopo tutto, un tentativo lo può fare. Se dovesse andare male, può sempre buttarlo di nuovo fuori dal camion. Sogghigna, a quel pensiero edificante.

 

La radio sfrigola. Johnny si sporge un poco, si appropria del trasmettitore e indaga. «Ehi, Brian?»

 

«Johnny? Dove sei?» giunge nel loro abitacolo la voce stranita del suo autista. Beh, non proprio suo , dell’Ammiraglio, ma sono solo dettagli.

 

«Sul camion di Charlie, dove altro?» domanda, con un poco di sufficienza.

 

Una pausa, coperta dal gracchiare della radio. «Non ci avrei scommesso un centesimo» commenta Brian, sembrando persino divertito.

 

«Guarda un po’, qui non scommette mai nessuno, a parte Pedro l’impiccione della tavola calda. Senti, vuoi essere così gentile da spiegare a Charlie, qui accanto a me, cosa faccio per vivere?»

 

«Fai l’atleta per il passatempo dell’Ammiraglio e dei suoi amici graduati» commenta sarcastico.

 

«Ehi, guarda che non sono io quello in livrea che scarrozza personaggi importanti in giro per il paese» protesta Johnny.

 

«Questo è vero. E di solito mi piace il mio lavoro, ma di recente mi hanno appioppato te e adesso mi garba molto meno» ribatte.

 

«Sono proprio commosso. È proprio una gran soddisfazione sapere di avere qualcuno su cui contare» replica sarcastico.

 

«Che ti serve, allora? Mi pareva d’aver capito se sei sul camion. Non hai bisogno di un altro autista, quindi» tenta speranzoso.

 

«Per ora no. Ma, vedi, non si può mai sapere quel che capita durante una missione. Preferirei che rimanessi nei paraggi, per ogni evenienza.»

 

Johnny lo sente sbuffare, all’altro capo della ricevente. «Sì, va bene. Tanto è il mio lavoro, l’essere a disposizione.»

 

«Bravo. Ci sentiamo.»

 

«Passo e chiudo, Tenente Firpo.»

 

La comunicazione si chiude, Johnny appunta lo sguardo sul viso appena un poco scettico del fratello e inarca un sopracciglio. «Soddisfatto?»

 

«Forse» tentenna Charlie. «Ho un po’ di domande da farti.»

 

Johnny gli sorride, sfoderando la sua scintillante dentatura, e annuisce. «D’accordo. E allora falle.»

Chapter 5: Capitolo Cinque - Ancora spiegazioni, nuovi piani e inattese riflessioni

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«Per quale ragione, quel tuo Ammiraglio, ti ha affidato questo incarico? Il tuo collega ha detto…»

 

«Brian è solo un tipo particolarmente sarcastico. Non trascorro davvero tutte le mie giornate sui campi sportivi. Di solito alterno gli allenamenti con un lavoro vero e proprio: perlustro le coste, qualche volta ho l’incarico di scovare gente non troppo per bene, sai: piccoli trafficanti, falsari, ladruncoli, simpaticoni di questo genere; e poi, una volta individuati, li segnalo ai colleghi agenti che escono in mare in forze, così che possano arrestarli e portarli in galera.»

 

«Fai la spia…»

 

Sbuffa e scaccia l’idea con un gesto della mano. «Andiamo, Charlie… Non faccio la spia. Cerco indizi e trovo chi serve trovare. Poi gli altri li mettono sotto chiave. Non posso certo fare tutto da solo, no?»

 

«No di sicuro» commenta Charlie, ironico.

 

Johnny si imbroncia e incrocia le braccia. «Senti, io non ci capisco proprio nulla delle regole che usate voi giocatori. Di solito ho altri interessi. Ed è per questo motivo che sono qui, ora, a darti noia. Lo sapevo benissimo che non ti sarebbe piaciuto vedermi, ma l’Ammiraglio ha insistito. Hai presente quando ti danno un ordine? Sì? Bene, a quel punto tu lo esegui, oppure scappi fino a quando non ti arrestano. E a me piace davvero troppo andarmene in giro libero, grazie tante.»

 

L’espressione di Charlie si rabbuia. «Quindi sei obbligato.»

 

Sospira. Schiaccia la nuca contro il sedile. Sospira di nuovo. «Se l’alternativa è quella di tornare dai miei superiori e riferire loro che non sono in grado di portare a termine l’incarico che mi hanno affidato, beh, sì, è come dire che sono obbligato» conviene, gesticolando frustrato.

 

Charlie riflette, e più ci pensa e più sente che si sta cacciando in un pasticcio, uno bello grosso per giunta. Però Jonathan sembra sincero, e da quel che ha capito c’è finito pure lui nei pasticci, e non per sua volontà. «Cosa devi cercare?» prova, abbastanza titubante.

 

«Devo trovare qualche pista che mi riconduca a questa banda. E siccome sono abbastanza sicuro che quelli in alto non siano tanto semplici da scovare, direi che possiamo iniziare dai pesci piccoli e risalire la corrente. Quindi… Ecco, se decidi di darmi una mano, ti chiedo: dove potremmo iniziare a pescare?»

 

Si passa le dita nella barba, vagliando le loro possibilità in base alle proprie conoscenze. «Spesso c’è della gente che si ritrova in un locale notturno. È a un po’ di miglia da qui, ci vorranno almeno altre otto ore di guida per arrivarci. Però, sul retro, hanno una saletta in cui ci gioca il capo della baracca e i suoi invitati speciali, se capisci quel che intendo.»

 

«Mi sa proprio di sì» conviene Jonathan, lanciando un sogghigno saputo al fratello. «E credi che almeno uno di loro possa essere implicato in questo traffico?»

 

Soppesa la domanda e se la rigira in testa. «Forse anche più di uno, chi può dirlo. Ma è pur sempre un punto di partenza, se vuoi davvero trovare la gentaglia che ti serve.»

 

Jonathan si esibisce in uno dei suoi sorrisetti complici, che più che altro fanno venire i brividi a Charlie. «Ci sto. Partiamo da lì e vediamo quel che succede.»

 

 

Ecco un’altra cosa che non si aspettava: si era convinto che avrebbe trascorso le ore seguenti guidando e sorbendosi l’incessante chiacchiericcio del fratellastro, invece quest’ultimo è rimasto in silenzio per buona parte del tragitto, per lo più guardando fuori dal finestrino, con il gomito appoggiato al bracciolo e il mento appoggiato al palmo della mano. E in un dato momento gli ha addirittura proposto di dargli il cambio e guidare per una parte di strada. Offerta che Charlie ha rifiutato, e che tuttavia è arrivata come un fulmine a ciel sereno, andando a sommarsi ai dubbi precedenti.

 

Charlie era convinto che sarebbe stato una sorta di copia più giovane di quello scapestrato, fannullone, buono a nulla del loro padre. Beh, d’accordo, sembra abbastanza sopra le righe, e del tutto imprevedibile per giunta, ma ha un lavoro stabile, un lavoro perfettamente legale per giunta, cosa che Mike Firpo non ha mai né avuto né tantomeno cercato. Jonathan lo ha informato che si era tenuto da parte delle alternative, per quel loro primo incontro. Charlie riesce a immaginare, non senza un brivido di sgomento, il genere di alternative a cui si è riferito il fratello, e quindi ringrazia con ardore che sia andata diversamente. Per qualche ragione ignota, alla fine ha scelto di giocare a carte scoperte, e Charlie non può essere sicuro del motivo di questa scelta, ma sente di dovergli almeno un minimo di interesse, quello che in realtà non ha mai dimostrato nei tanti anni trascorsi a farsi i fatti propri.

 

Jonathan lo conosce? Sa chi è Charlie? Chi è stato e non vuole mai più essere? Da come parla e agisce, sembrerebbe di sì. Il che può significare che, in qualche modo, lo ha tenuto d’occhio, o per lo meno si è informato preventivamente sul suo conto. Che, a ben pensarci, è molto di più di quanto non abbia mai fatto Charlie nei confronti suoi e del loro padre. Chissà se ha anche notizie recenti di Mike? Probabile. Lui, invece, non ne sa nulla. Per la verità non ne ha mai voluto sapere nulla. L’inaffidabilità cronica del padre ha finito per disgustarlo, e l’ultima goccia è stata il tradimento di sua madre… con quella di Jonathan. Beh, questo non ha di certo contribuito a migliorare i rapporti famigliari, giusto? Proprio per niente. E, di fatti, è esattamente questo che desiderava sapere di quei due: assolutamente niente.

 

Lancia l’ennesima occhiata in tralice al passeggero al suo fianco, sempre intento a osservare il paesaggio esterno. Forse avrebbe preferito continuare a vivere la sua vita senza impicciarsi di quella del resto della sua famiglia. Ma qualcosa gli dice che non è più un’opzione. Non riesce a immaginare di rifiutare di nuovo di ascoltarlo, e ha il fondato sospetto che, a quel punto, non gli sia più possibile. Desidera sapere a propria volta qualche cosa di lui. Il che è assurdo, tutto considerato. Ma la voglia di scoprire qualche dettaglio in più permane.

 

Ha intenzione di aiutarlo a sbrogliare il problema che gli hanno affibbiato. E poi di indagare su quella che è stata la vita del fratellastro, prima di irrompere nella sua, di vita, come un uragano che spazza via tutte le certezze e riempie il vuoto con tutto quel che non sapevi di volere né di aver assolutamente bisogno. E, beh, la vita è proprio strana, certe volte.

Chapter 6: Capitolo Sei - Cetacei e divise

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«Fermati un momento» lo prende di sorpresa la richiesta del fratello.

 

Charlie si volta, interdetto. «Perché?» indaga, perplesso e suo malgrado sospettoso.

 

Johnny gli sorride, e il suo sospetto non migliora di una virgola. «Perché i tuoi delfini hanno fame, e io ho voglia di scambiarci due chiacchiere.»

 

«Mh… Sì, giusto» conviene distratto. Poi sgrana gli occhi. «Aspetta: cosa?! Che intendi con “scambiarci due chiacchiere”?»

 

Il sorriso si amplia. «Quel che ho detto. Sta’ tranquillo, mica te li sciupo. Voglio solo assicurarmi che se la passino decentemente.»

 

Charlie è abbastanza dubbioso sulle intenzioni del fratello. Ma sfamare i poveretti e dar loro un controllo non sembra una cattiva idea, tutto sommato. «Va bene» accetta. «Almeno ci sgranchiremo le gambe.»

 

Johnny sembra concordare con quella linea di pensiero, perché attende giusto il tempo che occorre al fratello per accostare, prima di balzare a terra e approssimarsi all’entrata del rimorchio. Charlie, in quella, scopre che quel furbastro gli ha soffiato le chiavi in un momento imprecisato del loro viaggio, e di fatti lo ritrova già montato all’interno del cassone, intento ad aprire le vasche dei delfini.

 

«Quand’è che ti sei preso le mie chiavi?» indaga seccato, affacciandosi dal portello senza però salire a bordo.

 

Johnny, seduto sul bordo della prima vasca, ha già iniziato a distribuire il pesce. Si volta un momento e gli scocca un’occhiata divertita. «Dopo averti chiesto di fermarci, e prima che tu riuscissi a capire dove sarei andato a parare. Eri distratto» commenta con ovvietà.

 

Charlie grugnisce di disappunto. «Potevi pure chiedermele» borbotta seccato.

 

«Tu dici?» si informa, leggero, mentre osserva i delfini scivolare nell’acqua.

 

«Dico. Sì» rimarca impermalito.

 

«Va bene. Lo terrò a mente. Però, sai, se dici che dovrei chiedere, vuol dire che se lo faccio poi tu dovresti accontentarmi» fa notare, piuttosto divertito.

 

Batte le palpebre. Ha la sensazione di essere appena stato giocato da quel furbastro, o si inganna? Sbuffa e scrolla le spalle. «Tu, intanto, comincia a domandarmelo. Se lo farai nel modo giusto, penso proprio che non avrò difficoltà ad accontentarti.»

 

Johnny si volta di scatto e lo fissa sorpreso. Poi le sue guance si gonfiano e scoppia a ridere. «Bravo! Hai vinto tu, ben fatto. Dovevo aspettarmelo, in fondo. Non è vero? Eri un ottimo giocatore, tempo fa.»

 

Charlie annuisce, titubante. «Già» concorda asciutto, con l’ulteriore conferma che il fratello conosce parecchi dettagli che lo riguardano. Lo osserva qualche momento, mentre si infradicia le maniche della camicia accarezzando i delfini. In effetti… sembra intento in una piccola chiacchierata. Sembra qualcosa di abbastanza strano, per la verità, ma a Jonathan fa chiaramente piacere quindi, beh, può anche lasciarli a quel loro strano incontro, immagina.

 

 

«Quanto è ancora lontano, questo locale?» gli domanda Johnny, dopo che hanno ripreso la strada, sempre in direzione Miami.

 

Charlie si guarda attorno per orientarsi e si fa due conti. «Dovremmo arrivare fra cinque ore o poco meno.» Si prende qualche momento per osservarlo. «Puoi dormire, se vuoi. Ti sveglierò quando saremo a destinazione.»

 

Jonathan lo fissa in modo ambiguo. «Sei certo di non volere il cambio? T’assicuro che lo so portare un camion. Non è più complicato di una motovedetta.»

 

Scuote la testa in diniego, ma accenna un piccolo sorriso stento. «Magari domani.»

 

Il fratello si stringe nelle spalle. «Come vuoi. Beh, allora a dopo» conviene. Poi si rannicchia sul suo sedile, usando la sua sacca da viaggio come cuscino, e prova a dormire qualche ora.

 

Charlie sospira, torna con gli occhi sulla strada e, nella sua testa, si chiede se stia facendo la cosa giusta, se non sia un errore quel trattenersi in compagnia di un fratello completamente sconosciuto. Avrebbe potuto benissimo fornirgli qualche dritta su gente che, potenzialmente, sarebbe un ottimo candidato a guidare quella sua famigerata banda di allibratori. Ne conosce un po’ di quella risma, dopo tutto. E con quelle informazioni, Jonathan potrebbe recuperare Brian l’autista saccente e indagare sulle piste più probabili. Allora cosa gli impedisce, adesso, di mettere in atto quel potenziale piano? Stira le labbra in una linea sottile e stringe il volante con forza. Prende un respiro profondo. Lentamente, si volta sulla sua destra e posa lo sguardo sull’uomo che riposa lì accanto. Se fosse una fregatura, la vedrebbe giungere in tempo? Eppure… non sembra una fregatura. Sembra solo, ecco, uno sconosciuto con qualche cosa di famigliare, forse, e Charlie vuole dargli una possibilità, quella stessa possibilità che non gli ha mai offerto in passato e che ora vuole cogliere. Che grana!

 

 

«Jonathan» chiama, dopo aver parcheggiato il camion nell’area di sosta. Non ottiene risposta. Cruccia la fronte, prendendosi qualche momento per osservarlo con maggior attenzione, senza il fastidio di dover essere fissato di rimando. Infine ci riprova, scuotendolo lievemente per una spalla. «Ehi, sveglia, Jonathan. Siamo arrivati.»

 

Un mugolio scocciato fa eco al suo richiamo. A Charlie sfugge un sorriso divertito. «Non chiamarmi in quel modo. Sembro un vecchio di novant’anni, o un musicista folk» mugugna sonnacchioso. «Un po’ come se ti chiamassi Charles, che invece pare proprio il nome di un maggiordomo inglese.»

 

Il sorriso di Charlie diventa una piccola risata. «Va bene. Come ti dovrei chiamare, quindi?»

 

Apre gli occhi e lo fissa. Si stiracchia e, con molta calma, si osserva attorno, registrando il luogo in cui sono finiti e l’ora ormai tarda. «Johnny, come fanno tutti gli altri» replica con semplicità.

 

«Chiaro. Ora però sarà il caso di andare a vedere se la gente che si diverte lì dentro è qualcuno che può esserti utile» suggerisce, indicando il locale poco distante, le cui insegne al neon illuminano il parcheggio di colori sgargianti.

 

«Sì. Cioè, no. Devo prima cambiarmi.»

 

Aggrotta le sopracciglia, senza ben capire la replica del fratello. «In che senso, devi cambiarti? È solo un locale per spassarsela per qualche ora e bere un po’, non serve mica lo smoking.» Nel frattempo Johnny ha aperto la sua sacca da viaggio e ne estrae un’uniforme bianca. Quell’uniforme . Charlie la fissa con tanto d’occhi e poi sposta lo sguardo stralunato sul fratello. «Fammi capire: tu avevi con te l’uniforme della marina, e invece di mostrarmela, hai messo in piedi quello stupido teatrino alla radio con l’autista saccente?» sbotta allucinato.

 

Johnny sbuffa una mezza risata e scuote la testa. «Oh, Charlie, che sciocchezze vai dicendo? Sono salito sul tuo camion indossando un abito da suora. Secondo te sono una suora?»

 

«Euh…» è l’interdetta replica di Charlie.

 

«Ovviamente no. Cosa avrebbe dimostrato un’uniforme della Marina? Proprio nulla. Indossare un abito non trasforma automaticamente qualcuno nell’abito che indossa, ne convieni?»

 

«Beh, sì…» tentenna, dubbioso. «Ma magari avrebbe aiutato» insiste, anche se in quel caso non è troppo sicuro che lo avrebbe fatto sul serio. E l’occhiata divertita che gli scocca il fratello conferma i suoi dubbi.

 

«No, non lo avrebbe fatto. Fidati. Oppure no. In ogni caso, ho un piano» annuncia Johnny, con un ampio sorriso compiaciuto.

 

«E siamo fregati!» esclama Charlie, iniziando già a pentirsi di avergli dato corda.

Chapter 7: Capitolo Sette - Orsacchiotto

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Ora Johnny sta sogghignando. Ed è abbastanza spiacevole. No, peggio, è decisamente inquietante e fa accelerare il suo battito cardiaco.

 

«Mi sembra (ma puoi senz’altro contestarmi, se dico delle assurdità) che tu abbia questa curiosa abitudine di sparare giudizi negativi senza prima avere i dati necessari per valutare la proposta in maniera obiettiva. Ora, per capirci, da cosa lo deduci che il mio piano non sia valido? Non te l’ho ancora esposto. Non venirmi a dire, adesso, che sai cosa ho in mente, perché, senza offesa, ne dubito fortemente.»

 

È arrossito. E non gli succedeva più dalla cerimonia del diploma! E che cavolo!

 

«Non lo so. Ma, ecco…» tergiversa, incerto.

 

Johnny scaccia, con un gesto svolazzante della mano, qualsiasi scusa stesse per uscire dalla bocca del fratello. «Lascia perdere. Ho ormai ben chiaro in testa che non puoi proprio fidarti. In effetti, ora che mi ci fai pensare, mi chiedo per quale motivo io dovrei fidarmi. Tu cosa mi hai mai dato in cambio? Direi, più o meno, niente .» Charlie impallidisce. Johnny gli indirizza un sorrisino ironico. «Ciò detto, io il mio piano te lo spiego lo stesso. Poi, se vuoi, lo puoi pure bocciare a tuo piacimento, e amici come prima (vale a dire, per niente).»

 

Per qualche istante, rimane in silenzio, ma infine annuisce. «Sentiamo» accetta, incrociando le braccia per darsi un tono.

 

«Bene. Ecco quel che avevo in mente: innanzitutto mi faccio passare per un Tenente della Marina in congedo, il che non dovrebbe causarmi troppi problemi, dato che sono già un Tenente della Marina. Mi segui? Dopo di che, mi premuro di far sapere a chiunque abbia voglia di tendere l’orecchio che, dopo gli ultimi, interminabili e noiosissimi mesi trascorsi in mare senza alcun genere di svago a mia disposizione, ho proprio voglia di divertirmi un sacco e spendere la mia bella paga intascata di fresco. E poi… Beh, diamine, se questi gentiluomini c’entrano effettivamente qualche cosa con la banda che cerca l’Ammiraglio, potrebbero benissimo essere interessati a spillarmi più soldi di quelli che ho messo da parte, non credi anche tu?»

 

Charlie grugnisce a malincuore il suo assenso ma, dentro di sé, deve ammettere che il piano appena udito ha del buono. In effetti, potrebbe funzionare sul serio, sempre ammesso che si tratti della gentaglia giusta. Ma tutto sommato, se anche non lo fosse, potrebbero comunque rivelarsi utili a far passare la voce a qualcuno più in alto di loro. Così, dopo averci riflettuto su con attenzione, pensa corretto di condividere quel suo pensiero con il fratello.

 

«Buona idea!» esclama il furbastro, tutto sorridente. «Speravo davvero che potessi darmi questo genere di suggerimenti. Qualche volta sai essere utile, dopo tutto.»

 

Lo guarda male, perché sembra proprio che non gli riesca di evitarlo. Non capisce neppure il motivo per cui si ritrova a reagire in quella maniera, non con chiarezza, almeno. Forse è solo perché quell’accidenti di fratellastro si è premurato di fare in mille pezzi la sua bella e tranquilla quotidianità con problemi che non cercava affatto. Sì, può darsi che le cose stiano davvero così.

 

 

Jonathan s’è eclissato nel lato riparato del camion, per potersi cambiare d’abito senza dare spettacolo e, quando ricompare alle incerte luci dei lampioni e delle colorate insegne al neon, Charlie rimane qualche lungo istante a bocca aperta. Deglutisce a vuoto, impreparato.

 

«Beh, che te ne pare?» esclama il fratello, sbirciandolo incuriosito.

 

Si schiarisce la voce, dato che non è certo di trovarne traccia nel momento opportuno. «Ti sta bene» soffia appena, occhieggiando i dettagli della sua uniforme candida, le mostrine, le rifiniture, il berretto che, chissà come, non ha fatto una piega neppure ficcato per ore dentro un sacco da viaggio.

 

Sgrana gli occhi, sorpreso. «Ma grazie!» esclama divertito e un poco sconcertato. «Però, sai, intendevo capire se, a tuo parere, sono credibile a sufficienza.»

 

«Oh…» sospira interdetto. «Sembri quel che sei» conferma cauto, al momento troppo confuso per riuscire ad aggiungere altro con una parvenza di sensatezza.

 

Johnny soppesa il curioso atteggiamento del fratellastro, poi sbuffa una risata. «Davvero, Charlie, pensavo di essere io quello che ama dare risposte ambigue. Invece… Beh, diamine, in qualcosa dovevamo pur somigliarci, no? Papà sarebbe proprio fiero di te!» scherza.

 

Charlie storce il naso e borbotta infastidito. «Questo non mi consola per nulla» tiene a precisare.

 

«Lo immagino» conviene. «Allora, ok, direi che è il caso che vada in scena» decide, accennando ad avviarsi.

 

Perplesso, il fratello aggrotta la fronte. «Ma vengo dentro con te» sostiene risoluto.

 

«Cosa?» chiede incerto. Poi comprende davvero quel che gli sta dicendo Charlie e scuote la testa. «Oh, no, non se ne parla!» protesta.

 

«Come? Perché non dovrei?» replica offuscato.

 

«Ma che razza di domande: perché tu sei Charlie Firpo . Hai presente, no? Se qualcuno, là dentro, dovesse riconoscerti, faresti saltare la mia copertura e anche tutto quanto il mio bel piano così accuratamente progettato. Insomma, non sarebbe per nulla carino, da parte tua» lo punzecchia.

 

«Ma…» tenta una nuova protesta.

 

«Oh, andiamo, orsacchiotto, puoi benissimo essere utile in altri modi. Non hai bisogno di mostrarti in tutta la tua gloria, dico bene?»

 

«Piantala di scherzare, furbastro. Io entro. Non è in discussione. Ma puoi aspettare qualche minuto per essere certo di non venire collegato al mio arrivo. Faremo finta di non conoscerci» propone testardo ma assolutamente deciso a seguirlo.

 

Johnny inarca un sopracciglio e arriccia le labbra in un sorrisetto di scherno. «Non sarai di certo costretto a impegnarti granché, per fingere di non sapere chi sono» fa presente, sarcastico.

 

Charlie incassa l’ennesimo colpo e prova a non farsi distrarre, mentre progetta la sua prossima mossa. Certo, se non fosse costretto ad avere addosso lo sguardo derisorio del fratellastro, sarebbe tutto maledettamente più semplice.

 

«Ehi, Teddy, non farmi aspettare troppo» lo canzona Johnny, mentre lo guarda dirigersi verso l’entrata del locale.

 

«Chi sarebbe questo Teddy ?» replica dubbioso, voltandosi appena per guardarlo in faccia.

 

Rotea gli occhi e sbuffa. «Sei tu, orsacchiotto: Teddy Bear, ha presente?»

 

Charlie si schianta il palmo d'una mano sul viso e mugugna desolato. «Se non la pianti di dire sciocchezze, dopo che avrò finito con loro comincerò con te» lo minaccia in un borbottio irritato.

 

Johnny sogghigna. «Ah, che paura. Guarda, Teddy, sto tremando tutto quanto come una gelatina!» esclama, scoppiando a ridere della faccia oltraggiata del fratello.

 

Gli volta le spalle, sperando che non gli giungano altre frecciatine strada facendo, e si affretta a entrare nel locale, augurandosi che serva davvero a risolvere quel pasticcio e a levarglielo dalle scatole il prima possibile. Oppure no? Si imbroncia e storce il naso, mentre tenta come può di farsi largo nella calca della sala da ballo e raggiunge il bancone del bar. Magari qualcosa di forte potrebbe aiutare a sopravvivere alla lunga serata che si prospetta. O magari no.

Chapter 8: Capitolo Otto - Nuove conoscenze

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Ha la forte tentazione di appoggiare le spalle al rimorchio, mentre fissa le luci del locale e conta annoiato il tempo che trascorre lento, in attesa di potersi permettere di entrare senza scoprire le sue carte. Il rimorchio però è impolverato, di conseguenza la sua divisa si sporcherebbe. Avesse studiato alla scuola allievi ufficiali per l'aeronautica, questi problemi non li avrebbe avuti. O forse sì. Il blu non è molto meglio del bianco, tutto sommato. Va bene, allora l’esercito, con quell’orribile verde marroncino a prova di sporcizia. Arriccia il naso e sbuffa. Ma che diamine, perché mai doveva per forza entrare prima Charlie? E l’ha mollato lì fuori come un fesso a girarsi i pollici! Ecco, che rabbia, e non ha ancora trovato la possibilità di smaltirla come si deve, per giunta. Usare il sarcasmo e l’ironia con Charlie è come schiantarsi contro uno scoglio: ti fai del male solo tu. Il fratellastro sembra impermeabile alle sue punzecchiature. Probabilmente dovrebbe essere più diretto, ma se poi se la prende sul serio e decide di piantarlo in asso, lasciandolo a mani vuote, mentre sta ancora indagando sulla banda di allibratori? Meglio di no, vero? Può permettersi di aspettare ancora un po’. Dopo tutto, ha atteso per interi decenni; qualche giorno in più non lo ucciderà di certo.

 

Solleva il polso, con un gesto un po’ svogliato, e sbircia le lancette del suo orologio. Ah, grazie al cielo: è ora! Rispolvera il suo miglior sorriso da idiota patentato e sgambetta con piglio allegro e trasognato diritto verso l’entrata principale del locale: si va in scena!

 

 

Un’ampia occhiata circolare all’interno della sala gli conferma che il fratellastro si è già sistemato da tempo, e con tutta comodità, in un angolo appartato del bar, probabilmente nella speranza di non essere abbordato da nessuno scocciatore inopportuno. Le ultime cattive notizie devono avergli suggerito prudenza e circospezione. Tanto meglio: gli resterà più spazio d’azione.

 

Una ragazza, bionda e piuttosto carina, è seduta di fronte al bancone e dà l’idea di essere tremendamente annoiata. L’aria di niente, si avvicina, sfoggiando studiato disinteresse e idee poco chiare su quel che desidererebbe davvero da quella serata. Ordina una birra, per cominciare, e attende una reazione che, per inciso, non tarda ad arrivare. Li può quasi sentire, i suoi grandi occhi incuriositi addosso. Del resto, meglio i suoi begli occhi turchesi, piuttosto che quelli perennemente irritati di Charlie.

 

«Ciao, marinaio» esordisce la voce musicale della ragazza.

 

Si leva il cappello, lo appoggia con cura e studiata lentezza sul bancone lucido, e finalmente si volta, dandole la prima occhiata seria. Eh, sì, è proprio carina. «Ciao» le risponde, perché sarebbe un vero peccato non farlo.

 

 «Tu non sei di qui, vero?»

 

Questo è evidente. Ma decide comunque di stare al gioco e le sorride, scuotendo la testa. «Direi di no» conferma.

 

«E che cosa ti ha portato da noi, marinaio?»

 

Il sorriso di Johnny si allarga. «Le luci, tesoro. E la musica.»

 

«Volevi divertirti?»

 

«Oh, ma lo voglio ancora» assicura, posando un gomito sul bancone e guardandosi intorno con interesse.

 

«Ti piacciono i dadi? Posso offrirti una partita, mh?» offre ammiccante.

 

Sbuffa una lieve risata, immaginando con una certa precisione il genere di offerta a cui allude la gentile signorina. «Per la verità, preferisco le carte. Mi piace il poker, in effetti. Anche se, lo ammetto, sono un vero disastro nel giocarlo. Però ho un sacco di buona volontà e un po’ di quattrini da spendere» sottolinea sicuro.

 

«Davvero? E allora sei proprio fortunato, marinaio…»

 

«Guarda, tesoro, il mio nome è Johnny…» prova, a quanto pare senza riuscire a convincerla.

 

«Sono venuta qui con alcuni amici a cui piace il poker come a te. Stanno giocando qualche partita proprio in questo momento, nell’altra saletta. Io invece, qui da sola, mi sto annoiando a morte… Ma, lo sai, se ti interessa, posso presentarteli. Sono certa che apprezzerebbero un altro giocatore» assicura, con la segreta speranza di riuscire a entrare nelle sue grazie.

 

Annuisce, esibendo un’espressione soddisfatta. «È proprio un’ottima idea» conviene, recuperando il cappello e infilandoselo sottobraccio. «Fai strada, tesoro. Sarò la tua ombra.»

 

Charlie gli fissa la schiena con spiacevole insistenza, mentre segue la graziosa ragazza oltre la sala da ballo, verso un salottino privato. Johnny spera che non faccia sciocchezze e se ne resti buono e tranquillo al bar. Non ha nessun bisogno né di essere seguito e controllato, né tanto meno necessita di supporto morale. Si chiede per quale diavolo di motivo abbia insistito per entrare a sua volta. Se l’è sempre cavata egregiamente da solo, e non vede motivo alcuno per cambiare le proprie abitudini giusto in quell’occasione.

 

Ma ora non è il caso di pensare agli strani comportamenti del fratellastro. È appena entrato nella saletta privata, non troppo spaziosa ma opportunamente appartata, dove quattro tizi sono già seduti attorno a un piccolo tavolo verde e impegnati in una partita. Trae un bel respiro e si prepara a incasinare alla grande una normalissima partita di poker in una normalissima serata di mezza estate. E se poi si riveleranno essere gente poco raccomandabile, ebbene, troverà certamente il modo per trarne beneficio e avvicinarsi alla soluzione del suo scomodo incarico.

 

 

Dovrebbe alzarsi e seguirlo nella saletta privata? Probabilmente no. La sua sciocca copertura salterebbe come un botto di capodanno. D’altra parte, non è troppo sicuro di quale sia l’utilità di stazionare al bar. Si chiede, tardivamente, se non avrebbe fatto meglio a rimanersene a bordo del suo camion a schiacciare un pisolino, in attesa che il furbastro si districhi dai suoi casini. In fondo l’indomani dovrà sobbarcarsi il resto del viaggio fino a Miami, che conta di raggiungere in giornata. Un po’ di riposo non gli farebbe male, dunque. E la domanda torna, implacabile, a girargli in testa: perché rimanere? Per quale motivo ha insistito per infilarsi con lui in quel locale? La risposta si fa desiderare, come al solito. La scusa di tenerlo d’occhio, dopo un po’, fatica a reggere; questo lo deve pur ammettere, almeno a sé stesso.


Sorseggia la sua birra fredda e rimugina su quel che ha fra le mani. Problemi, innanzitutto. Qualcosa che, di sicuro, non cercava. Qualcosa che, di contro, non ha mai davvero cercato. Ma è stato ritrovato, sia dai problemi, sia da qualcosa d’altro. E forse i primi riuscirà a toglierseli di mezzo senza eccessivi sforzi. Ma è proprio la seconda incognita che gli dà da pensare e lo rende nervoso; lui e quel suo sorrisetto strafottente e assolutamente irritante.

Chapter 9: Capitolo Nove - Furto

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La partita di poker è stata un disastro. Un vero, meraviglioso, esilarante disastro. Da molto tempo non si divertiva in quella maniera. Dovrebbe provarci con Charlie, un giorno di quelli… Magari dopo che avranno sistemato quella seccatura della banda di allibratori clandestini. Scommette che ne verrebbe fuori un’esperienza estremamente piacevole. Se non altro, per Johnny.

 

I suoi attuali compagni di gioco sembrano davvero disperati. E pensare che hanno vinto loro. Chissà cosa sarebbe successo, nel caso avessero perso? Forse, alla prossima occasione, tenterà l’esperimento. Intanto ha subodorato che almeno uno di loro, quello che sembra il capo della scalcinata combriccola di giocatori e si fa chiamare Nynfus (o perlomeno, spera che sia un nome d’arte, perché sarebbe davvero molto dispiaciuto per lui, se i suoi genitori gli avessero appioppato sul serio un nome così ridicolo), sappia qualcosa riguardo le malefatte della famosa banda. Quindi ha deciso che lo terrà d’occhio e studierà un nuovo piano per indurlo a farlo accogliere nel più ampio giro di scommesse che continua a mettere nei guai i suoi colleghi della Marina.

 

«Non ne ho altri» assicura sorridente, mostrando loro le proprie tasche, vuote in maniera desolante. «Mi dispiace, ragazzi. Temo dovrete aspettare la prossima licenza, per avere il resto della vostra vincita. Però prometto che, se dovessi raggranellare del denaro nei prossimi giorni, sarete i primi a cui penserò.»

 

Sembra persino una minaccia. Almeno a giudicare dalle loro smorfie impietrite. Sta per scoppiare a ridere in faccia a tutti quanti, quando un trambusto inatteso, di là nel salone principale, distrae la loro piccola riunione privata.

 

Ha proprio un brutto presentimento. Ma sarebbe strano se non mostrasse di essere curioso, come sta del resto succedendo a tutti gli altri, di sapere quel che sta accadendo là fuori, vero? Tocca proprio complicare tutto, di nuovo. Sospira, interiormente; fuori si limita a sorridere, per l’ennesima volta, come un perfetto idiota e a spalancare gli occhi.

 

La ragazza bionda e carina dell’inizio della serata entra trafelata e, anche lei, con gli occhi enormi e sorpresi. «Ehi, pupa, che succede di là?» la interroga Nynfus, in modo abbastanza sgarbato.

 

«C’è un tipo strano, e molto grosso, che dice che qualcuno gli ha fregato il camion» tenta di spiegare, l’espressione un po’ trasognata e abbastanza incredula.

 

Johnny condivide perfettamente, soprattutto la parte dell’incredulità. E no, non ha proprio voglia di guardare in faccia Charlie mentre questi gli sfascia la mascella per il casino in cui l’ha messo. Accidentaccio! È mai possibile che non ne vada mai bene una?

 

«E noi che c’entriamo?» obietta giustamente Nynfus, sembrando infastidito.

 

«Niente, credo. Ma nessuno è ancora riuscito a calmarlo, e qualcuno è anche svenuto, là in sala» aggiunge la ragazza.

 

«Come sarebbe, svenuto?» indaga, stavolta piuttosto sorpreso.

 

Eh… “Come sarebbe”… Sarebbe che Charlie deve aver perso la pazienza e qualcuno ne ha pagato il conto. Se se la svignasse alla chetichella, prima di andarci di mezzo? Riflette. Probabilmente non giocherebbe a suo favore, e deve ancora trovare il modo per arrivare al capo dell’organizzazione. Ma dubita di poterci ancora riuscire, almeno non senza l’aiuto di Charlie. Si imbroncia, mandando un istante all’aria la sua copertura. Va bene: se va fatto a tutti i costi, lo può benissimo fare. Forse gli riuscirebbe perfino di schivare la spiacevole questione della mascella rotta; dovrebbe essere sufficiente aspettare qualche minuto ancora e lasciarlo sbollire un poco con quelli di là, che di certo non hanno chiaro quel che è più saggio fare quando ti ritrovi davanti a un Charlie Firpo fuori dai gangheri: nascondersi sotto un tavolo robusto fuori vista.

 

I quattro della partita a poker si sono alzati e sembrano decisi a farsi gli affari della sala da ballo. Potrebbe suggerire loro di non intromettersi. Ma non vede il motivo per scoprire così presto le proprie carte. Se vogliono qualche bernoccolo in più, sono anche affari loro.

 

 

La ragazza carina tentenna, indecisa se seguire gli altri di là. Lo sogguarda, gli sorride. Johnny ricambia il sorriso. È più forte di lui, non può evitarselo, un po’ come se si trattasse di una reazione automatica. Però a lei sembra far piacere, quindi nulla di male.

 

«Com’è andata la tua partita, marinaio?»

 

«Malissimo» sbuffa divertito e per nulla offeso. «Io, comunque, sarei sempre Johnny, sai.»

 

«Oh, lo so. Ma è un nome troppo banale per uno come te. Preferisco chiamarti marinaio, è più… esotico. E poi quella divisa ti sta davvero una favola» miagola lei.

 

«Eh! Grazie, tesoro!» replica, ridacchiando compiaciuto.

 

Diamine, cosa si potrebbe volere di più? Guadagnare tempo, per evitare con classe la rabbia del fratellastro, e nel mentre farsi adulare da una bella ragazza. Qualche volta, lo deve ammettere, la vita è davvero fantastica.

 

Una serie di rumori molesti di mobilia fracassata gli fa storcere il naso e stornare lo sguardo da lei per dirigerlo verso la sala da ballo. Trae un profondo respiro e si rassegna all’inevitabile.

 

«Andrei a dare un’occhiata» le dice, suggerendole con un sottile non detto di evitare di seguirlo.

 

«Fai attenzione. Quello di là sembra proprio matto.»

 

Annuisce. Matto magari no, ma abbastanza su di giri, pare proprio di sì.

 

 

Il posto è visibilmente meno elegante di quando ci è entrato per la prima volta quella stessa sera. Parecchio sotto sopra, in effetti. Scavalca sedie ribaltate, corpi riversi al suolo, posate sparse ovunque, bottiglie e suppellettili varie, tentando di preservare intatta la sua divisa ancora immacolata. Altre non ne ha portate di ricambio, purtroppo.

 

E poi, finalmente, raggiunge il punto in cui il fratellastro è ancora impegnato a “discutere animatamente” con il resto dei presenti. Quando Charlie nota la sua presenza, Johnny trattiene il fiato e spera che non intenda aggredirlo; gli toccherebbe menare le mani, e non ne ha per nulla voglia. Invece, sorprendentemente, Charlie lo fissa crucciato, ma non tenta di avvicinarsi. Si limita a un silenzioso riconoscimento e gli indirizza un piccolo gesto del capo, lasciandogli intendere di seguirlo fuori appena possibile. Johnny annuisce e lo precede nel parcheggio, poi si appresta ad attenderlo ancora una volta (augurandosi che questa volta sia questione di pochi minuti).

 

In effetti, di lì a breve, il fratellastro si fa rivedere; solo, per fortuna. Immagina che nessun altro abbia avuto modo né intenzione di seguirlo. Scuote la testa e sogghigna lieve.

 

«Allora, cos’è capitato, esattamente?» lo interroga, non appena si trova a distanza di voce.

 

«Qualcuno mi ha fregato il camion!» sbotta Charlie.

 

Leva gli occhi al cielo, trattenendosi a stento dallo sbuffare esasperato. «Questo lo sapevo già. Sai chi lo ha preso? Perché? Dov’è diretto?»

 

«No» risponde bruscamente.

 

Johnny rimane un attimo a bocca aperta. «”No” per qualunque domanda?»

 

«Esatto. Non ne so nulla, a parte che cinque minuti prima era lì, parcheggiato dove ci siamo fermati, e cinque minuti dopo era sparito.»

 

«E le chiavi?» chiede stranito.

 

«Le ho io» spiega, recuperandole dalle tasche e sventolandogliele sotto il naso.

 

«Quindi era un professionista, o più d’uno» ragiona.

 

«Chiunque fosse, se l’è portato via senza apparente fatica. E io lo rivoglio indietro» insiste in tono secco e scorbutico.

 

Aggrotta la fronte e, piano, scuote la testa. «Come vorresti recuperarlo, per l’esattezza? Non sappiamo neppure da che parte cercare» prova a farlo ragionare. «Potremmo procurartene uno nuovo» tenta volenteroso.

 

«No. Quello che si sono presi era mio, me lo sono sudato e intendo riaverlo. E poi c’erano sopra i delfini per l’acquario!» sbotta teso.

 

«Oh!» affanna, preso in contropiede. «Accipicchia, l’avevo scordato» si rammarica. Assottiglia le labbra e riflette.

 

«Ma la direzione la so» lo anticipa Charlie. «Uno, là dentro, lo ha visto lasciare il parcheggio. L’ho costretto a vuotare il sacco. Sembra che abbia preso comunque per Miami» lo informa, fissandolo con ostinazione.

 

Johnny si guarda intorno, torna con gli occhi su Charlie, si mordicchia una guancia e annuisce. «D’accordo. Vieni.»

 

Charlie aggrotta la fronte, perplesso. «Dove? Che hai in mente?» domanda teso, suo malgrado sospettoso.

 

«Ho in mente di ritrovare il tuo camion e i delfini dell’acquario. Andiamo, non perdiamo tempo» lo incita, trascinandoselo appresso attraverso il parcheggio.

 

Charlie lo segue. Non perché si fidi di lui, ma perché non ha idee migliori e spera, contro ogni buon senso, che almeno lui sappia quel che sta facendo. Anche se, a guardarlo bene e dal suo particolare punto di vista, non ne ha affatto l’aspetto.

Chapter 10: Capitolo Dieci - Dubbi propositi

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«Che stai facendo?» inquisisce, perplesso e un po’ ansioso, fissandolo armeggiare con la serratura di un’auto parcheggiata di fronte alla stazione di servizio. Una vettura a caso, in effetti. E che, guarda il caso, non gli appartiene affatto.

 

«Prendiamo a prestito l’auto» spiega in tono ovvio.

 

«Ehi, parla per te. Io non prendo a prestito nessuna auto» esclama allarmato.

 

Johnny gli lancia un’occhiataccia risentita. «Il camion è tuo. E poi, devi assolutamente guidare tu, quindi la prenderai per forza di cose. Oppure te ne andrai a piedi . A te la scelta.»

 

Charlie ringhia. Non un granché come risposta. Ma tutto sommato se l’è fatto soffiare lui da sotto il naso. Non è come se potesse dare la colpa a Johnny anche per questo problema, giusto? O forse sì, dopo tutto; è piuttosto abile nello scaricare le responsabilità su chiunque altro all’infuori di sé stesso. Ma lo sta raggiungendo in fretta, e un giorno di questi gli farà lo sgambetto e se lo lascerà alle spalle coperto di polvere.

 

«Fatto» esulta all’improvviso, con un mezzo sorriso all’angolo delle labbra. «Sali» intima, spalancandogli lo sportello del lato guida.

 

«Nemmeno per sogno» rifiuta Charlie.

 

Una nuova occhiata omicida. «Sali. Adesso. E guida, ché io avrò ben altro da fare.»

 

Questo è tutt’altro che rassicurante. «Che cos’hai in mente?» torna a chiedere, intenzionato a capirci qualcosa.

 

Johnny gli si fa accosto, si aggrappa alla sua camicia floreale e quasi sfiora il naso di Charlie con il proprio, poi sogghigna, spedendo un brivido spiacevole lungo la schiena del fratello. «Guida, orsacchiotto, così io te lo posso riportare tutto intero, il tuo preziosissimo camion. Promesso.»

 

Charlie storce il naso, poi leva gli occhi al cielo alla risatina del fratello. «Bene. Ma guai a te se incasini tutto» lo mette in guardia. È una sensazione molto spiacevole, quella che avverte dentro di sé mentre il sorrisetto di Jonathan scompare inghiottito da una smorfia amareggiata.

 

Lo osserva fare il giro dell’auto e infilarsi nel posto passeggero. Ancora non ha un’idea certa di quel che Jonathan ha intenzione di fare, ma non vede molte alternative. E poi… Lui gli ha promesso di recuperare il suo camion, in qualche maniera. Non lo sa se può fidarsi sul serio di quel furbastro, ma ha deciso che lo farà comunque. Perché? A dire il vero, non sa con certezza neppure quello, ma deve centrare qualcosa la sensazione spiacevole di poco prima.

 

 

Jonathan non ha ancora aperto bocca, mentre stanno percorrendo la lunga striscia d’asfalto, inseguendo la notte. Si limita a fissare davanti a sé, con una concentrazione abbastanza inquietante, almeno finché non decide di rompere il silenzio con un ordine secco che lo fa sobbalzare.

 

«Accelera.»

 

Ed è tutto. Sta per protestare. Lo osserva un breve momento, prima di tornare sulla strada. Le sue labbra rimangono sigillate e pigia il piede sul pedale dell’acceleratore.

 

Trascorrono in silenzio i successivi minuti, mentre il vento soffia contro i finestrini dell’auto. Sta per decidersi a fargli altre domande, quando il fratellastro lo precede, lasciandolo di sasso.

 

«Eccolo. Rallenta, ora, e spegni i fari.»

 

Volta la testa di scatto e lo fissa sorpreso. «Cosa?»

 

Johnny sospira. «Perché devi sempre fare domande inutili? Rallenta. È semplice, basta levare il tuo piedaccio dall’acceleratore. E spegni le luci, altrimenti quello ci vede» spiega, con un poco di sarcasmo nella voce.

 

Stringe le labbra. Sta per insultarlo, poco ma sicuro. Poi però ci rinuncia, perché francamente non vede vantaggi nel mandarlo a quel paese proprio in quel momento. «In questo modo non ci vedremo noi» tenta una flebile protesta.

 

«Senti, lo vuoi indietro oppure no il tuo camion?»

 

«Io… Sì, certo che lo rivoglio» borbotta seccato.

 

«Ottimo. E allora, per favore, fai come ti ho detto» insiste asciutto.

 

«Forse dovevamo chiamare la polizia e denunciare il furto» ipotizza Charlie, non troppo sicuro di quella possibilità.

 

Johnny, lì accanto, annuisce. «Certo. Scommetto che lo avrebbero ritrovato in non più di due mesi, il tuo stupido camion che, per inciso, so perfettamente che non hai neppure assicurato. Mi chiedo, piuttosto, se i delfini sarebbero sopravvissuti, nell’attesa» riflette ad alta voce, innestando una marcia superiore al suo solito sarcasmo.

 

Charlie si imbroncia. Poi rallenta e spegne i fari e le luci di posizione. La notte è buia, là fuori, ma qualche momento dopo torna a scorgere la strada come si deve e trae un sospiro di sollievo. Ma è presto per la soddisfazione, ed è costretto a prenderne atto fin troppo presto.

 

«Bene. Ora che si fa?» indaga.

 

«Ti avvicini al camion, possibilmente evitando di farti vedere, ti apposti dietro, mantieni la sua stessa velocità e io ci salgo sopra» spiega in tono ovvio.

 

Inspira piano. Chiude gli occhi un istante. Espira piano. «Jonathan!» sbotta. Va bene, serve un altro bel respiro, perché è chiaro che non si è calmato a sufficienza.

 

«Orsacchiotto, non strillare in questo modo, mi spacchi i timpani» lo prende in giro.

 

«Sei matto?» bercia.

 

«Non credo» dubita pensoso.

 

«Beh, lo sei, te lo dico io» insiste in un ringhio sordo.

 

«Ok, bene. Può darsi che io lo sia. Vuoi farmi causa?» lo deride con un sogghigno.

 

Gli darebbe volentieri fuoco. A lui, al loro padre scellerato, a tutte le loro stupidissime idee senza alcun criterio. A tutta la loro maledetta vita sopra le righe! «Ti farai ammazzare!» sbotta, a tanto così dal gettarlo di nuovo fuori dal finestrino.

 

«Speriamo di no» gli risponde, lanciandogli uno dei suoi sorrisetti irritanti. «Ma poi a te che importa?»

 

Charlie impallidisce.

 

«Non è come se io fossi qualcosa di rilevante nel corso della tua placida esistenza, no?»

 

Forse perderà direttamente i sensi. Al volante. Non sembra una buona idea, riflette, con la testa abbastanza confusa. «Io… Smettila. Per favore» pigola scosso.

 

«Nah! Tranquillo» esclama allegro, dandogli una pacca sul ginocchio. «Non credo mi avrai sulla coscienza. Non questa volta, per lo meno.»

 

Non è una replica rassicurante. Ma proprio per niente. «Jonathan…» riprova.

 

«Ora, da bravo, concentrati sulla strada. Non ho bisogno della tua ansia, in questo preciso momento. Mi serve che tu mantenga la traiettoria del tuo camion e ti accosti il più possibile. Al resto penserò io. D’accordo?»

 

No, dannazione. Non è affatto d’accordo. Peccato che quello scemo si stia già sporgendo dal finestrino, controllando il loro percorso e la distanza dal rimorchio.

 

E poi si volta e lo guarda. Ha un sorriso strano sul viso, uno che sembra intenzionato a offrirgli un segno di pace. Gli indirizza un piccolo cenno di conferma, prima di scivolare fuori e strisciare sul tettuccio dell’auto.

 

Il suo cuore salta un battito. Charlie spera che quella non sia l’ultima occasione di vedere il suo strano sorriso. Poi smette di riflettere e si concentra sul tenere la strada.

Chapter 11: Capitolo Undici - Guida acrobatica

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Ha proprio l’impressione che dovrà procurarsi dei vestiti nuovi, dopo questa bravata. Bah! Appuntato per più tardi. Ora ha proprio altro a cui pensare. Tipo evitare di finire sotto le ruote del camion, giusto per fare un esempio. Oh, e assolutamente non fracassare il parabrezza dell’auto, è sicuramente un altro buon esempio.

 

Socchiude le palpebre, perché la turbolenza, là sopra, gli sta procurando più di qualche problema. A saperlo prima, si sarebbe portato appresso i suoi occhialetti da snorkeling. Gli scappa un sorriso. Euh… Brutta idea! “Sciocco. Concentrati sul rimorchio” sbotta irritato nella propria testa.

 

Con prudenza, scivola giù dal tettuccio, appoggiando la punta delle scarpe sul cofano. Per fortuna le ha sostituite con quelle sportive, che hanno la suola in gomma. Avrebbe dovuto levarsi anche la divisa, ma non ne ha trovato il tempo. Si volta appena verso l’abitacolo dell’auto e scorge Charlie affondato nel posto di guida, le sue mani enormi avvinghiate al volante e gli occhi fissi sulle porte posteriori del rimorchio. Ci torna in fretta anche lui. Si aggrappa con le dita al telaio dell’auto e sculetta per ritrovarsi seduto sul cofano. Perfetto: ora viene il bello (a seconda dei punti di vista, ovvio).

 

 

Quell’imbecille gli farà venire tutti i capelli bianchi, accidenti a lui! Ma perché doveva per forza avere un fratello? L’ha forse mai chiesto, lui? No! Non potevano rifilarlo a qualcun altro, qualcuno con più pazienza e meno scrupoli? Eh, no, certo. Per forza a lui doveva toccare questo svitato. “Ma se mi ricapita davanti nostro padre, ah!, gliene dico quattro, altroché!” bercia nella sua testa abbastanza sotto sopra.

 

Intanto Jonathan, là davanti, si sta appallottolando come un riccio e alla fine della contorta manovra si ritrova in ginocchio. Poi prende a strisciare lentamente fino ai fari dell’auto, e a Charlie sfugge un gemito. “Dannazione, non lo volevo, un fratello. Ma se proprio me lo devo tenere, almeno che sia vivo” pensa, tremando appena e stritolando il volante.

 

 

Guarda in alto, verso il tetto del rimorchio. Sta tentando di calcolare le distanze. Dovrà, per forza di cose, essere buona la prima, perché dubita gli sarà concesso un secondo tentativo. Diamine, probabilmente può farcela… O magari no, ma è un po’ tardi per i ripensamenti. O la va o la spacca (e speriamo che vada).

 

Posa il palmo d'una mano contro il metallo freddo e liscio che ha di fronte e si concentra, avvertendo al tatto i lievi movimenti fra i due veicoli. Per fortuna la strada è diritta come un fuso; se avesse delle svolte, gli inevitabili sbandamenti del rimorchio lo spazzerebbero via come una farfalla in mezzo a una tempesta. Torna ad appallottolarsi sul bordo del cofano, i piedi ben piantati sulla carrozzeria, fa scorrere lo sguardo, un’ultima volta, sulle porte del rimorchio, li punta sulla cima e scatta in alto come una molla.

 

Charlie, dentro l’abitacolo, trattiene bruscamente il fiato. Fa stridere fra loro i denti e, tenendo diligente la strada, guarda verso il tetto del suo rimorchio. Jonathan è lassù, appeso con le dita al bordo posteriore, oscillando lievemente.

 

«Accipicchia» affanna il marinaio volante, teso, mentre tenta di fare forza sulle braccia per issarsi fino in cima. «Questo dev’essere proprio il mio record di salto in alto. E non avrò neppure una stupida medaglia, né un qualunque altro riconoscimento. Che gran fregatura» borbotta, mentre le suole delle scarpe slittano sulle porte lisce. Soffia un piccolo ringhio e, finalmente, raggiunge il tetto con un grugnito di vittoria. «Chi me l’ha fatto fare?» lamenta senza fiato. Si scrolla di dosso l’ottundimento e si appresta a proseguire con il piano (il suo piano). «Sì, va bene, ho fatto tutto da solo» ammette a malincuore. «Ma se non c’erano di mezzo i delfini, col cavolo che mi sarei preso la briga di ritrovare il maledetto camion» protesta, strisciando a quattro zampe lungo il tetto, verso la cabina del trattore stradale. «Tanto, poi, scommetto che quel grosso ingrato di Charlie non si sprecherà nemmeno in un semplice “ grazie ”, una volta riavuto il suo preziosissimo mezzo» borbotta, abbassandosi per offrire minor attrito all’aria.

 

Giù in basso, Charlie sta cercando di capire in che punto si trovi il fratellastro. Si è scostato un poco dal retro del rimorchio, per evitare di andarci a sbattere contro in un momento di distrazione, ma ha deciso non sia ancora il caso di comparire negli specchietti retrovisori del camion. Potrebbero accorgersi che li stanno inseguendo e decidere per qualche manovra diversiva, e a quel punto tanto varrebbe dire addio a Jonathan, che deve trovarsi ancora in cima al tetto.

 

Storce le labbra, ansioso ai limiti di una crisi di nervi. Avrebbe dovuto impedire a quel matto di strisciare fuori dall’auto in corsa, tanto per cominciare. Forse poteva esserci un’altra soluzione che, sul momento, non hanno visto. Non che Charlie riesca tuttora a vederla, ma magari, riflettendoci meglio e con più calma, avrebbero potuto trovarla. E poi, in fondo, era davvero di così vitale importanza riavere il suo camion? In quel momento, stretto al volante come a un salvagente e con il cuore in gola, non ne è più troppo sicuro.

 

 

Oh, che emozione! Ha raggiunto il tettuccio della cabina! E adesso? Mh… Tocca bussare al finestrino? Nah, meglio fare un’improvvisata. Farà più effetto. Presa la sua decisione, si lascia scivolare dietro il trattore e posa i piedi, finalmente, su una superficie più stabile: la pedana posteriore. Indipendentemente dal fatto che il guidatore sia da solo o abbia un complice, stabilisce sia più pratico entrare dallo sportello del passeggero; il lato guida avrebbe di mezzo il volante e sarebbe un grosso intralcio ai suoi scopi bellicosi.

 

Sghignazza divertito. Lo sguardo sbalordito del tizio comodamente seduto sul sedile del passeggero è uno spasso veramente imperdibile. Gli molla un destro deciso e ben bilanciato, che lo fa schiantare contro la spalla del compare alla guida. Lo sterzo sfugge al suo controllo per un istante da brividi. Il camion sbanda ma viene ripreso prima di finire fuori carreggiata. Poveri delfini, si rammarica Johnny. Poi pianta un calcio sulla mascella del tizio che ha già preso a pugni e lo spedisce nel mondo dei sogni con tanti saluti dalla Marina. L’altro è più grosso e gli fa storcere il naso di disapprovazione. In più, come scopre tardivamente, è dotato di lama a serramanico. Johnny la schiva prontamente, ma il sedile del passeggero non è altrettanto fortunato. Charlie non sarà per niente contento, ma Charlie non è lì con lui e non ha nessun diritto di essere in collera, giusto?

 

Beh, il tizio con la lama si distrae quel tanto da dare a Johnny l’illusione di poterlo liquidare. Quel che ne ricava è un nuovo sbandamento dell’autoarticolato. Si aggrappa al suo braccio, sperando così di non essere infilzato, e alla cieca cerca il pedale del freno con un piede, l’altro lo pianta contro il ginocchio del guidatore che sta chiaramente tentando di stritolarlo. Accipicchia, è ben piazzato, il tizio. Beh, urge giocare sporco. Gli morde un orecchio e il tizio azzannato reagisce strappandoselo di dosso e spedendolo contro il finestrino. Auh! Questo ha fatto un po' male. Prova a prenderlo a pugni, ma lo spazio è davvero risicato e non gli riesce di avere la rincorsa adeguata. In compenso il suo gomito finisce per scontrarsi con il clacson del camion, che nel frattempo continua a procedere a zig-zag lungo la strada. Se solo gli riuscisse di frenare! Ma ha già le sue belle difficoltà a respirare, al momento.

 

«Ferma-Il-Camion» borbotta mezzo strozzato.

 

Il tizio gli indirizza un sogghigno poco amichevole. «Fermalo tu, se ci riesci» gli sibila contro, in tono di scherno.

 

Johnny leva gli occhi al cielo e sbuffa. Ma perché dev’essere sempre tutto così complicato? «Come vuoi» rantola seccato.

 

Si divincola come un anguilla, libera un ginocchio e lo schianta contro il mento del tizio sogghignante, poi gli rifila una gomitata nelle costole, tanto per andare sul sicuro. Si allunga oltre le sue gambe ingombranti e finalmente riesce a raggiungere il freno. Lo stridio contro i cerchioni è quasi assordante. Il rimorchio sbanda bruscamente e fa contorcere e sobbalzare un poco il trattore stradale. Trattiene il fiato per attimi interminabili, tenendo il freno premuto e tentando di mantenere il mezzo in strada.

 

Quando si rende conto che sono finalmente fermi, ha giusto il tempo di tirare un sospiro di sollievo, prima che la sua testa colpisca il finestrino. E la cabina scompare nel nero.

Chapter 12: Capitolo Dodici - Confusione

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Ha necessariamente dovuto prendere le dovute distanze dal suo camion quando ha notato che il rimorchio ha iniziato a oscillare da un lato all’altro della corsia. Che accidenti stiano combinando, lì dentro, non lo sa e non è affatto certo di volerlo davvero scoprire. Spera però che la piantino, una buona volta, prima di farlo ribaltare, quelle teste di rapa nella cabina del suo trattore stradale.

 

Poi le luci rosse degli stop prendono a lampeggiare in modo erratico, Charlie aggrotta la fronte senza ben comprendere, e decide per il suo stesso bene di essere prudente e di allontanarsi ancora un poco.

 

Quando lo stridore improvviso dei freni diventa assordante abbastanza da giungere fino all’abitacolo dell’auto, e di conseguenza il rimorchio scoda in maniera brutale, Charlie impallidisce di botto e, suo malgrado, caccia una bestemmia che gli sarebbe valsa la scomunica a vita da parte di suor Susanna e di tutta la sua esclusiva cricca di spose del Signore, se fossero state a portata d’orecchie.

 

«Quegli ottusi incoscienti» ringhia, liberandosi della cintura, una volta accostato al rimorchio fermo di traverso sulla carreggiata, e affrettandosi per scoprire che diamine sia accaduto.

 

Ma la portiera del guidatore si spalanca prima ancora che trovi il tempo di raggiungerla lui stesso. Charlie sgrana gli occhi perché, a meno che non stia prendendo un grosso abbaglio, quello appeso al finestrino come una bambolina rotta è Jonathan, mentre il tizio che ha una mano aggrappata al suo collo non gli pare di averlo mai visto, e inoltre ha in mente di farla diventare la sua prima e ultima volta. A tale scopo lo afferra per una caviglia e lo strattona con forza fuori dal camion. E mentre lo sconosciuto si fa un meraviglioso e ben poco aggraziato volo sull’asfalto, la bambolina Jonathan gli precipita in braccio.

 

«Oh! Che fai, dormi?» borbotta confuso, dandogli lievi colpetti sul viso con la punta delle dita. «Pare di sì» considera, dato che non gli riesce di svegliarlo. Poi nota un taglio che perde sangue lungo la tempia e trova la sua risposta. «Deve aver battuto la testa» suppone, guardando male il tizio ancora spiaccicato sull’asfalto e che immagina essere il responsabile di quel nuovo casino.

 

A quel punto si carica in spalla il fratello, con l’idea di posarlo in cabina e cercare la sua scorta d’acqua per lavar via quel pasticcio e provare a farlo tornare in sé. È in quel modo che scopre che la cabina non è affatto vuota, come supponeva dopo essersi liberato del tizio alla guida del suo camion, ma piuttosto occupata da un secondo tizio privo di sensi e spaparanzato di traverso.

 

«Ma tu guarda cosa mi tocca vedere. E nei camion altrui, per di più! Non c’è più un minimo di pudore a questo mondo» si indigna, strattonando in su la testa del secondo sconosciuto ma non riuscendo a riconoscere neppure quello. «Ladri di camion e per di più sporcaccioni! Dove andremo a finire, di questo passo?»

 

«Ladri di camion e basta» mormora una voce affaticata sulla sua spalla.

 

«Ehi! Allora sei sveglio» si sorprende Charlie, provando a posarlo sul sedile libero, nonostante l’impiccio del volante.

 

«Se continui a parlare da solo a tutto volume, per forza. Sveglieresti pure i morti della quinta generazione» protesta Johnny, massaggiandosi il collo. «Ahi» mugola desolato.

 

«Ti fa male?»

 

«Eh… Abbastanza. Lo sportello è più duro della mia povera testa» ammette. Batte le palpebre e fissa incerto qualcosa che Charlie gli sta porgendo.

 

«To’, bevi» lo incita, allungandogli una bottiglia d’acqua.

 

«Ah, grazie…»

 

«Li conosci?» indaga nel frattempo.

 

Johnny, sorseggiando lentamente, posa gli occhi su quello steso sul sedile accanto, e con prudenza scuote la testa. «Mai visto» nega, occhieggiando l’altro in basso sulla strada. «E neppure quello lì. Forse sono davvero solo ladri di camion» dubita.

 

«Sembravano un po’ troppo organizzati per un semplice furto di veicoli altrui.»

 

Storce le labbra. Riflette. Sospira. Infine, annuisce. «Probabilmente hai ragione, ma per saperlo per certo dovremmo mandare una segnalazione e aspettare qualche risposta.»

 

Charlie storce le labbra, per nulla convinto. «Oppure potremmo convincerli a vuotare il sacco» ribatte asciutto.

 

«Intendi con le cattive?» si accerta Johnny.

 

«Eh!» conferma.

 

Fa spallucce. «Come vuoi» accetta. «Magari più tardi. Ora ho un gran mal di testa…» lamenta ammaccato.

 

Charlie leva gli occhi al cielo e sbuffa, ma infine cede. «D’accordo, più tardi. E l’auto, come la riportiamo?»

 

«Contatto Brian e gli chiedo di avvisare i nostri ragazzi che abbiamo preso a prestito l’auto e che possono renderla al proprietario. Facile.»

 

«Facile… Come no» bercia disgustato. Si sofferma a osservarlo. Non ha esattamente una bella cera, a voler proprio essere onesti. «Lo contattiamo subito, quel tuo Brian altezzoso. Così poi posso scaricare quei due tizi dietro, nel rimorchio, e mentre ci allontaniamo puoi riposare un poco» propone.

 

Abbozza un lieve sorriso, che impallidisce al confronto con quelli che gli ha rifilato nelle occasioni precedenti. «Va bene, facciamo così» conviene collaborativo. «Grazie» aggiunge.

 

Charlie rimane qualche momento interdetto. Apre la bocca, intenzionato a dire qualcosa. Non sa esattamente cosa né come dirlo, allora la richiude. Aggrotta la fronte e decide di riprovarci. «Hai recuperato il mio camion. Probabilmente dovrei essere io a ringraziarti» tentenna.

 

Johnny pensa che forse si sta immaginando tutta quella conversazione. Sai, la botta in testa e tutto il resto dei recenti casini, non fanno molto bene alla salute mentale di una persona. E in più Charlie ha una faccia così strana, in quel momento. Ma se quel che crede di aver udito fosse stato realmente pronunciato, e ora lui non dicesse nulla, magari il fratello la prenderebbe sul personale. Sbuffa piano.

 

«Probabilmente sì, ma non sei di certo obbligato» replica, un filo irritato a causa di tutto quell’inutile tergiversare.

 

Charlie si è imbronciato. Oh, beh, fantastico. Stai a vedere che avrebbe fatto meglio a fare silenzio. Non si sa mai cosa dire o come dirlo, a quell’accidenti di Charlie Firpo.

 

«Sintonizzami la radio, per favore. Così posso avvisare Brian dell’auto da rendere» taglia corto.

 

Il fratello non spiccica parola, si limita a fare quanto richiesto, con un’espressione pure più strana di quella precedente. Se solo non gli scoppiasse la testa, forse riuscirebbe a capirci qualche cosa in più di tutto quel pasticcio. Ma al momento ha solo voglia di stiracchiarsi e appoggiarsi su qualche cosa di morbido. Domani. Promesso: domani penserà a quel che potrebbe passare per la mente di Charlie Firpo. E poi si farà anche quattro chiacchiere con i delfini che, se non altro, gli rallegreranno la nuova giornata.

 

 

Oltre ad averli scaricati sul pianale del suo semirimorchio, i due tizi ladri di camion altrui li ha anche legati, singolarmente e poi uno all’altro, perché non ha proprio voglia di ritrovarseli a zonzo per il suo camion a far danni o a importunare i poveri delfini, che hanno già i loro di problemi.

 

Ha approfittato di quei momenti da solo per pensare a quelle ultime ore. Per pensare a Jonathan, in effetti. Gli è capitato in diverse occasioni, durante le ore trascorse assieme a lui, di provare sentimenti diversi, spesso contrastanti, altrettanto spesso incomprensibili. Quello che però lo assilla maggiormente è qualche cosa di spiacevole e per il quale sa di non poter ritenere responsabile nessun altro all’infuori di sé stesso. Si tratta di senso di colpa. E sa anche da dove deriva, ma non si sente troppo pronto a mettere le sue carte sul banco. Sarebbe come ammettere i propri torti, non è vero? Dopo troppi anni spesi nel tentativo di ignorarli deliberatamente.

 

Sospira, dà l’ennesimo calcio al tizio che aveva fatto volare giù dalla cabina e saluta i delfini, prima di fare ritorno da lui.

Chapter 13: Capitolo Tredici - Dissapori

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Quando fa ritorno in cabina, vi ritrova un fratellastro piuttosto addormentato. Dapprima sbuffa, un poco seccato perché il signorino si è preso un po’ troppo spazio, metà del quale sarebbe suo. E adesso, come si suppone che dovrebbe poter guidare? Con i suoi piedi in grembo? Poi però, in un momento particolarmente luminoso, rammenta che in realtà nella cabina esiste anche una cuccetta, che però lui non usa mai perché la trova troppo stretta e scomoda. Però Jonathan, a suo confronto, è un fuscello, e immagina che possa starci senza troppi problemi. Stabilito ciò, scansa qualche momento le gambe del dormiente e mette un poco d’ordine in quello che sarà un discreto giaciglio per le prossime ore. Poi tenta di svegliare il fratello, il quale però sembra avere altri progetti e seguita a dormire, placido e con visibile soddisfazione.

 

Aggrotta la fronte, emette un nuovo sbuffo, ma infine si arrende all’evidenza. È con una sovrabbondanza di contorsioni e maledizioni assortite che, infine, riesce a infilare Jonathan all’interno della cuccetta. Abbastanza senza fiato, recupera una coperta e gliela stende sopra. Valuta la sua opera, annuisce soddisfatto e, con un piccolo sorriso in volto, si rimette al volante, finalmente pronto a tornare alla guida. Almeno fino alla prossima area di sosta, perché tutto sommato ha intenzione di dormire anche lui, come già sta facendo quel cavolo di fratellastro invadente.

 

 

Scambiare qualche impressione e rassicurazione con i delfini, il mattino seguente al suo risveglio, è stato piuttosto piacevole e divertente. Si è ritrovato praticamente stivato in un vano stretto dietro i sedili, in effetti, quella mattina dopo essersi svegliato molto più riposato e meno dolorante della sera precedente. Non ha capito come ci sia finito, ma l’occhiata abbastanza irritata di Charlie gli ha suggerito una spiegazione plausibile e, soprattutto, di evitare di fare domande scomode.

 

In compenso, e come del resto prevedeva già la sera precedente, ha dovuto risolversi a cambiarsi d’abito, perché la sua povera uniforme, oltre a non essere più bianca, è anche strappata in più punti. Un vero disastro, insomma. Dovrà probabilmente rinunciare all’idea di riutilizzarla nel corso di quella sua attuale missione, ed è un vero peccato.

 

Poi il fratello ha insistito per provare a scucire ai due trafugatori di camion altrui qualche informazione supplementare. E quello, beh, è stato molto meno piacevole. Innanzitutto, immaginava fosse più divertente osservare due uomini mezzi nudi appesi a testa in giù fra le porte del rimorchio, ma così non è stato e, a quella deludente scoperta, ci è rimasto abbastanza male. Aggiungiamoci il fatto che quello che voleva fracassargli la testa contro lo sportello la sera prima se l’è fatta addosso e ha vergognosamente spiattellato una verità compromettente e ben poco entusiasmante.

 

«Io… Se lo prendo, ti giuro che finirà molto peggio di questi due» sbotta Charlie, fissando in cagnesco i ladri di camion.

 

«Ma, Charlie, è pur sempre tuo padre. Cioè, nostro padre» protesta Johnny, tentando di farlo tornare alla ragione.

 

«Sì, e guarda quel che può fare! E perché, poi?» gli grida addosso.

 

Come se fosse colpa sua. Si imbroncia e incrocia le braccia. «E io come accidenti faccio a saperlo, secondo te? Non sono di certo il suo babysitter» si difende, crucciato.

 

«Ah no? Voi due, di solito, non fate comunella insieme, escogitando programmi alle mie spalle?»

 

Johnny lo guarda male. «Se fosse come dici tu, perché mai mi sarei preso la briga di correre appresso al tuo stupido camion e per giunta farmi prendere a botte da quell’imbecille lì appeso?!»

 

«Non saprei. Dimmelo tu» ritorce scontroso.

 

«Ecco, appunto. Tu non sai un bel niente! Non ti sei mai nemmeno preso la briga di sapere qualcosa. C’è solo una cosa che sai fare veramente bene. E no, non è per niente giocare a carte, ma piuttosto scaricare la colpa su di me per qualunque assurdità venisse per la testa a Mike Firpo. Beh, sai che c’è? Non questa volta. Risolvili da te i tuoi problemi con nostro padre. Io non ci voglio entrare per niente.»

 

Ciò detto, si allontana a grandi passi dal camion, diretto verso il punto di ristoro dell’area di sosta. Charlie gli fissa la schiena a bocca aperta per qualche momento, lancia un’occhiataccia di avvertimento ai due ancora appesi e poi si mette all’inseguimento del fratellastro.

 

«Jonathan. Aspetta, ehi! Aspetta, ti dico» esclama, raggiungendolo a fatica e acchiappandogli un braccio.

 

«Ma che vuoi?» esclama, provando invano a liberarsi.

 

«Avevamo quell’incarico da seguire» gli ricorda, confuso.

 

«Quello è il mio di incarico. E lo posso risolvere pure da solo, visto che a te non frega niente.»

 

Charlie aggrotta la fronte, incerto. «Cosa? No, mi importa…»

 

«Oh, questa sarebbe la prima volta che ti sento dire una cosa simile. Peccato non averlo registrato, perché ho la netta impressione che sarà anche l’ultima. Ora, se non ti dispiace, vado a contattare qualcuno dei miei colleghi per organizzarmi un passaggio fino a Miami.»

 

«Ma… Ci stavamo andando assieme» prova interdetto.

 

«Non hai capito? Non ho più bisogno di te. Peggio: non ne ho mai avuto. Non sia mai che io ti chieda qualche favore che poi dovrò ripagare per il resto dei miei giorni! Meglio soli, come sempre. Addio» taglia corto, sfilandosi dalla stretta ora un po’ lasca del fratello.

 

Non è sicuro di comprendere fino in fondo quel che sta capitando, però sa che non può lasciare le cose come stanno. In qualche modo, sente che sarebbe un errore. Allora gli va appresso, seguendolo fin dentro il locale. Lo ritrova in un angolo vuoto, accanto a un telefono pubblico.

 

«Jonathan, senti, noi possiamo ancora…»

 

«Non ti arrendi, vero? Poi ti ho già detto di non chiamarmi in quel modo. Mia madre sola se lo poteva permettere. E tu…» rimarca sarcastico, dettagliandolo con lo sguardo «direi proprio che non lo sei. Grazie al cielo, aggiungerei.»

 

«Hai pure il coraggio di paragonarmi a lei? Tua madre è solo una sgualdrina. Ma al vecchio sono sempre andate a genio quel genere di donne, in fondo.»

 

Non lo vede arrivare, ma sa già che il giorno seguente se ne andrà in giro con un occhio nero. Jonathan è troppo leggero per riuscire a buttarlo giù, ma questo non significa che non faccia male, soprattutto con quelle sue nocche puntute. Non ha però ancora considerato che può perfino esserci di peggio, per esempio quell’espressione con cui lo sta fissando, che non sa decidere se sia rabbia o dolore. Forse entrambe, dopo tutto.

 

«Mia madre era una brava persona, una che ha avuto la sfortuna di innamorarsi di un uomo totalmente inaffidabile, come tu ben sai. Ti consiglio di non parlare più di lei in quella maniera. Non l’hai mai conosciuta, esattamente come non conosci me.»

Chapter 14: Capitolo Quattordici - Patteggiamenti

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Non è andato troppo bene, il suo tentativo di raccomodamento. D’accordo, a dirla proprio tutta, è finito parecchio male e ora, ecco, non ha un’idea granché chiara su come rimediare al pasticcio. Sempre che sia possibile. In effetti, se pensa a quella sua espressione di chiaro rifiuto, ha dei dubbi sul loro futuro. Non che lui l’abbia mai voluto, né tanto meno cercato, questo futuro di cui vaneggia la propria testa. Ma, ecco, magari un piccolo pensierino se l’era figurato, a un certo punto. È solo che, ora come ora, sembra proprio fantascienza.

 

Alla fine, Jonathan ha telefonato a qualcuno, probabilmente un contatto alla Marina. Non gli ha fatto sapere nulla di quel che hanno stabilito. Per dirla tutta, non lo ha neppure considerato, nonostante Charlie si sia ostinato a rimanere nei paraggi. Fatica sprecata. Si domanda cosa dovrebbe fare, ora che sembra proprio deciso a fare a meno di lui. Forse riprendere in mano il suo camion e la sua vita normale, e portare finalmente i delfini all’acquario di Miami. C’è qualche possibilità che si possano incontrare nuovamente là? Più esattamente: c’è qualche concreta possibilità che, anche incrociando nuovamente le loro strade, a Jonathan interessi?

 

Sospira, appoggiato allo sportello del suo camion. Avrebbe fatto meglio a evitare di tirare in ballo i demeriti dei loro genitori, vero? Non che si aspettasse salti di gioia, ben inteso. Ma, ecco, neppure una reazione così categorica. Aggrotta la fronte, incerto. Questa idea dell’ aspettarsi qualcosa di particolare non ha senso, in realtà. Come dovrebbe fare ad avere aspettative realistiche su qualcuno di cui non conosce assolutamente nulla? Innanzitutto, prima di litigare, avrebbe dovuto raccogliere informazioni. A quel punto avrebbe avuto anche un senso, accapigliarsi per certi motivi. Sarebbe stato, se non più giusto, almeno più ragionevole. In quel modo, al contrario, ha semplicemente esternato i propri preconcetti e un po’ di passati rancori verso una pessima famiglia.

 

Già, una pessima famiglia di cui, a ben vedere, Charlie è un perfetto rappresentante. In fondo, che diamine ha fatto, lui, di davvero diverso rispetto a tutti gli altri? Mike Firpo ha mollato la sua mamma correndo appresso alle sottane di un’altra donna, che poi è diventata la madre di Jonathan. Conoscendo il loro padre come lo conosce lui, niente di più probabile che a un certo punto abbia mollato anche la mamma di Jonathan per correre appresso a qualcun’altra. E quel giorno Charlie l’ha insultata come se la colpa fosse sua e del fratellastro, quando sa benissimo che la colpa è di Mike Firpo e di nessun altro.

 

Forse potrebbe semplicemente chiedergli scusa. Non che sia mai stato molto bravo nel farlo. Gli riesce sempre più facile mollare un cazzotto a qualcuno che gli ha rotto le scatole, piuttosto che ammettere di aver avuto torto, perfino con sé stesso. Beh, suppone che stavolta sia differente, perché almeno con sé stesso sta già facendo i conti, ora non gli rimane che fare il prossimo passo.

 

Lentamente, si scosta dalla cabina del camion e attraversa il parcheggio per raggiungere la panchina su cui si è seduto il fratello. Non sembra in buona disposizione d’animo, almeno a giudicare dal modo in cui lo fissa.

 

«Posso chiederti che programmi hai?» tenta.

 

«L’hai appena fatto. Se poi ti serve anche una risposta, eccotela: non sono affari che ti riguardino.»

 

«Mh… Io, ecco, riparto comunque per Miami, sai…»

 

«Buon viaggio.»

 

«Jonathan…» Il modo in cui il fratello si irrigidisce lo fa sussultare suo malgrado. «Ok, è Johnny. Lo dimentico sempre. Possiamo ancora, ecco, andarci assieme, se vuoi.»

 

«È escluso. Immaginare di trascorrere altre ore di viaggio nella stessa cabina è davvero spiacevole. Arriverà presto qualcuno per accompagnarmi, sono già d’accordo. Puoi smettere di fingere che ti importi qualcosa e ripartire sereno.»

 

Questo, decisamente, ha fatto più male del pugno di prima. E non si è ancora deciso a fare il passo seguente. Potrà servire a qualcosa? Ne varrà la pena?

 

Un’auto nera entra nel parcheggio. Jonathan abbozza un sorriso (cosa che non sapeva neppure potesse mancargli, eppure sembra proprio che quelli siano i fatti), si rimette in piedi, recuperando il suo piccolo bagaglio, e si incammina per raggiungere la vettura.

 

Con un sobbalzo improvviso, la sua testa torna al tavolino del locale ristoro. Fa un passo avanti, forse quello decisivo, e gli afferra un braccio.

 

Jonathan si è già voltato per protestare, ma Charlie lo anticipa. «Ti chiedo scusa. Ho… Io ho sbagliato e… Mi piacerebbe, sai, provare a rimediare. Vorrei che tu… rimanessi con me, ecco.» Lo sta fissando in modo strano, il fratello. Non riesce a capire se sia infastidito o sorpreso. È abbastanza disturbante e lo fa sentire a disagio. «Non è vero che non mi importa. È solo che non volevo che mi incasinassi di nuovo la vita, ma…»

 

Ora ha un piccolo sorriso che gli arriccia le labbra. Così è molto meglio, si ritrova a pensare. «Ma?» indaga cauto.

 

Charlie sbuffa e scuote la testa, ma infine sospira e si arrende. «Mi sono reso conto che ho solo te e papà, della famiglia che un tempo avrei voluto e chese non mi do una svegliata non avrò più neppure quello. Così, ecco, mi piacerebbe avere del tempo per capire chi sei.»

 

«Quindi, mi stai dando una possibilità?» si accerta Jonathan.

 

Leva gli occhi al cielo. «No. La sto dando a entrambi.»

 

Il suo sorriso è diventato più luminoso. Charlie crede davvero che in quel modo sia molto meglio, anche se qualche volta sembra che lo stia prendendo per il naso.

 

«Allora va bene» accetta. Posa gli occhi sulla sua grossa mano che ancora gli racchiude il braccio e inarca le sopracciglia. «Se adesso mi lasci un attimo il braccio, io andrei ad avvisare i colleghi che non mi serve più un passaggio da loro.»

 

Charlie sta cercando di decidere se può fidarsi a lasciarlo andare, o se invece non lo stia semplicemente ingannando per levarselo dai piedi. Ma non ha la faccia di uno che intende fregarlo non appena gli volta le spalle. Forse quello è una specie di esame: vuole scoprire se gli concederà davvero la sua fiducia. Ma in fondo, perché mai Jonathan dovrebbe farlo?

 

Chiude gli occhi un momento. Espira. Li riapre, guardandolo bene in faccia e, lentamente, annuisce. Poi allenta la stretta e lascia che si allontani, augurandosi di non aver commesso un errore.

Chapter 15: Capitolo Quindici - Ambientarsi

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Di fatto, il fratello ha fatto ritorno da lui con un sogghigno soddisfatto di cui non ha colto il significato. Però Jonathan gli ha presto spiegato l’arcano.

 

«Si porteranno via quei due ladruncoli, in questo modo non avranno fatto tutta la strada a vuoto e i nostri sgraditi ospiti si beccheranno quel che si meritano.»

 

Annuisce, tutto sommato condividendo la soddisfazione del fratello. «Una buona notizia, tanto per cambiare» si lascia sfuggire, salvo poi adocchiarlo prudente mentre Jonathan lo valuta a braccia conserte.

 

«Sentiamo qual è questa nuova recriminazione.»

 

«Non lo era. Lascia correre, per questa volta, ok?»

 

Johnny lo studia per qualche momento ancora, poi si stringe nelle spalle. «Bene. Come vuoi. Oh, e inoltre avevo chiesto loro di farmi avere una nuova uniforme, perché quella di prima era praticamente da buttare. Così ora, nel caso dovesse tornare utile per le nostre indagini sugli allibratori, posso permettermi di indossarne una decorosa. Adesso, se non hai altri programmi, potremmo avviarci. I delfini iniziano a innervosirsi.»

 

Charlie sgrana gli occhi, poi li assottiglia. «Ma tu come lo sai?»

 

«Me l’hanno fatto presente» spiega semplicemente.

 

«Te l’hanno fatto presente ? Intendi che t’hanno detto che sono stufi d’aspettare?» si stranisce.

 

«Non in questi termini esatti, ma il senso è comunque quello. Vogliamo andare?» propone, sembrando effettivamente di fretta.

 

Charlie sospira. Non ci ha capito molto, ma ha il sospetto che non ne ricaverà di meglio, insistendo su quell’argomento. Almeno, non in quel preciso momento. Magari più tardi? Decide, a suo rischio, di tentare la sorte.

 

«Me ne parleresti, se ti chiedessi qualche informazione in più?»

 

Jonathan sembra rifletterci un attimo. «Penso che potrei. Ma non ora. Andiamo, monta su. O preferisci che guidi io?»

 

Si irrigidisce. Non è qualcosa che può controllare, quanto piuttosto una reazione automatica. Sta per apostrofarlo con il suo solito “Scordatelo”, ma tentenna e ci pensa qualche istante in più. «Se ne hai voglia» si sente replicare, sorpreso.

 

In effetti anche Jonathan sembra piuttosto interdetto dalla risposta del fratello. A quanto sembra, nessuno dei due si aspettava questo epilogo. E tuttavia, dopo un primo momento di spaesamento, sorride eccitato e annuisce con vigore.

 

«Sì, certo che ne ho voglia!» esclama allegro.

 

È il suo camion, e l’ha appena lasciato nelle mani di un uomo che conosce appena. Perché diavolo ha fatto una cosa così stupida? In realtà, beh, crede di sapere perché. Il motivo è che Jonathan sembra felice, ora. Ha iniziato a blaterare a vanvera, e ridacchiare come uno scemo, e gesticolare come un matto. Ecco, Charlie lo sa perché gli ha permesso di guidare il suo camion: perché è un modo per dimostrargli che sta lavorando sulla sua fiducia.

 

 

In definitiva, quel suo strano fratello doveva essere veramente pressato, perché li ha portati fino a Miami senza una singola fermata, neppure per bere un caffè (e gliel'ha perfino chiesto, se voleva bere qualcosa, ma niente da fare).

 

Al momento Charlie lo osserva, affacciato al finestrino del passeggero, mentre Jonathan sorveglia il trasferimento dei delfini all’interno dell’acquario. Sembra tenerci particolarmente a quegli animali. Ha proprio voglia di capire perché, e se davvero ci sa veramente dialogare con loro. Più tardi, però: ora come ora, perfino una bomba faticherebbe a distrarlo.

 

Nel frattempo, il fratellastro si sta spostando. A quando pare segue i delfini. È sicuramente un tipo ostinato, non c’è che dire; se ne dovrà fare una ragione fin troppo presto. Piuttosto, non ha una gran voglia di fare altrettanto, ma se non si dà una mossa il furbastro finirà per svanirgli da sotto il naso, e nemmeno quell’eventualità lo rallegra in particolar modo. Quindi si rassegna ad abbandonare la sua postazione in cabina per stargli alle calcagna.

 

 

Non si può affermare che facciano esattamente i saldi di gioia, ma se non altro sono finiti in un posto più spazioso, con altri compagni d’avventura, e in aggiunta un piccolo esercito di sciocchi umani che ogni giorno porteranno loro tonnellate di pesce fresco. Poteva andare peggio. Si chiede se…

 

«Ehi» lo distrae la voce di Charlie, mentre osserva i cetacei ambientarsi nella piscina. Lancia una rapida occhiata al fratello, poi torna a occuparsi degli abitanti acquatici. «Come se la cavano?»

 

Un sogghigno, che somiglia sospettosamente a un piccolo sorriso soddisfatto, arriccia le sue labbra. «Ti stanno maledicendo per il viaggio da incubo a cui li hai costretti e nel mentre organizzano la fuga del secolo» replica, divertito dall’espressione sbalordita del fratello.

 

Charlie si imbroncia. «Mi stai prendendo in giro» lo accusa.

 

«Direi proprio di sì» conferma allegro.

 

Gli risponde uno sbuffo un po’ scocciato. «Me lo dici, ora, come fai a capirci qualcosa di quel che si dicono?» lo incalza, con un tono un po’ troppo brusco.

 

Potrebbe lasciarlo a macerare nel suo brodo, visti i modi che usa. Ma la sua domanda sembra genuinamente interessata, come se avesse davvero desiderio di sapere qualche cosa in più su di lui. Quindi, beh, forse vale la pena offrirgli almeno una parte di quel che chiede.

 

«Durante gli studi, sai, per entrare in Marina, ho frequentato anche un corso di oceanografia. È stato maledettamente interessante, e mi ha incuriosito molto, soprattutto mentre li ascoltavo comunicare fra di loro. Non so esattamente quel che si dicono, ma con il tempo credo di aver afferrato certi concetti di base, più che altro sensazioni, impressioni, sai… Tipo, se sono felici (di solito lo sono), se provano curiosità, o rabbia, se soffrono, o se sono spaventati. Cose così» spiega, seguendo il nuoto dei cetacei con lo sguardo.

 

«E ora, come sono?»

 

Sospira piano. «Spaesati. Credo sia perché le vasche sono più piccole di quanto sperassimo. O forse perché c’è più gente a due gambe di quel che sono soliti incontrare.»

 

«Oh…» commenta, sorpreso e un po’ a disagio. «E… Lo sai fare solo con i delfini?» ritenta, sperando in qualche replica meno oppressiva.

 

«Mammiferi d’acqua, per lo più. Le orche mi piacciono molto. Funziona discretamente bene anche con le balene. Ho provato con i pesci, ma non ci ho capito nulla. I rettili mi confondono abbastanza; penso di avere qualche idea più precisa sulle tartarughe, quelle marine. Oh! Equini, anche: cavalli, muli…»

 

«Non ne dubito. Siete testardi allo stesso modo» si intromette il fratello.

 

Ridacchia divertito. Non se la può proprio prendere, in quel caso, perché tutto sommato è la pura verità. «In effetti» ammette, fissandolo con una lucetta maliziosa nello sguardo. «E tu, invece, come sei?»

 

Charlie aggrotta le sopracciglia cespugliose. «Mi sembra che tu sappia già fin troppo di me» ribatte. Sembra perfino contrariato, ma non è certo di cosa lo infastidisca davvero.

 

Riflette, soppesando le parole del fratello. Si stringe nelle spalle. «So quel che mi hanno riferito, so quel che ho letto. E so quel che ho potuto osservare» conviene.

 

«Di certo è più di quel che molti potrebbero dire di sapere.»

 

«Avevo le mie ragioni» commenta pensieroso.

 

Crucciato, Charlie lo fissa incerto. «E quali?»

 

Sogghigna. Scrolla il capo. «Domanda sbagliata.»

 

Charlie si imbroncia per l’ennesima volta, ma non ha di meglio da opporre e sembra accettare la sconfitta, almeno fino al prossimo confronto.

Chapter 16: Capitolo Sedici - Pistacchio e illusioni

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Si sono attardati all’acquario per assistere all’esibizione con le orche. Jonathan aveva accennato al fatto che gli piacciono, giusto? Quindi Charlie ha insistito per rimanere ancora un po’, nonostante sappiano entrambi perfettamente che non si possono permettere di giocare troppo con il tempo che scorre. Ma a Charlie non importa davvero del tempo a loro disposizione, men che meno dei colleghi di Jonathan che si fanno infinocchiare dagli allibratori e ci perdono i loro soldi. Se sono degli sciocchi che cadono nei tranelli di altri sciocchi, meritano di essere derubati. Suo fratello sembra soddisfatto di essere lì, allora per lui va più che bene così.

 

«Ti va qualcosa?» prova.

 

La volta precedente erano per strada e non è mai riuscito a convincerlo a fermarsi e prendere qualcosa insieme. Ma ora i suoi delfini sono al sicuro (per quanto possano mai esserlo in un acquario), e forse ci penserà sopra più di qualche istante, prima di dargli un responso.

 

Infatti, deve aspettare quasi un intero minuto (più o meno il tempo che impiega l’istruttore per far fare all’orca di turno il suo numero), prima di avere la sua sospirata risposta.

 

«Quello che preferisci.»

 

È un po’ vago, vero? Ma immagina di avere comunque un margine per poterci lavorare su. Per esempio, mettendo sul piatto una controproposta. Si guarda attorno, prendendo nota delle loro possibili scelte. Il suo sguardo si illumina brevemente, nel momento in cui trova qualcosa di allettante (o almeno, spera di averlo trovato).

 

«Che ne dici di un gelato?» offre speranzoso.

 

Jonathan si volta di scatto e lo guarda. Sembra sorpreso. Non ha la certezza di cosa possa significare, ma spera sia qualcosa di positivo. E poi torna a sorridergli, allora Charlie sa di aver fatto qualcosa di buono.

 

«Sì, mi piacerebbe. Se lo trovi, al pistacchio sarebbe fantastico.»

 

Forse dovrebbe rimanere ancora qualche momento per godersi quella piccola vittoria, ma non vuole rischiare che cambi idea perché Charlie ha temporeggiato troppo. Potrebbe voler dire dare una falsa impressione riguardo le sue intenzioni.

 

«Ok, torno subito» si affretta quindi ad assicurare, prima di eclissarsi alla ricerca di quel benedetto gelato al pistacchio. Gli conviene averlo a disposizione, o se la vedranno con Charlie Firpo, e sarà tutto fuorché divertente.

 

 

Un’ombra affievolisce per un attimo l’accecante luce del sole. Johnny batte le ciglia e, interdetto, si trova a fissare… qualcosa . Sgrana gli occhi e un momento dopo ride. Da un paio d’anni, almeno, non vedeva così da vicino un cono gelato. È perfino al pistacchio! Diamine, che cosa si festeggia quel giorno?

 

«Visto? Te l’ho trovato» borbotta Charlie, sfidandolo a contraddirlo.

 

Dato che, per una volta, non ne ha la minima intenzione, si limita a scoccagli un sorriso e mormorare un «Grazie» prima di gustarsi il suo piccolo premio di consolazione.

 

Non si sta illudendo. Sta solo… Non ne è certo. Forse sta approfittando dell’incarico per raccogliere le briciole di quel che avrebbe desiderato un tempo ormai lontano. Il gelato è buono, ma la sensazione che prova è, al contrario, un po’ amara. C’è la spiacevole impressione di aver trascorso i suoi primi vent’anni a cercare qualcosa che, con tutta probabilità, non è mai esistita. Solo che prima poteva fingere di non saperlo, ora invece ne ha la certezza e gli viene il dubbio che preferisse rimanere invece nell’incertezza.

 

«Cosa vuoi fare, ora?» lo distrae la voce del fratello.

 

Chiude un momento gli occhi. Tenta, contro ogni logica, di alimentare una sciocca menzogna. Ma non funziona, non fino in fondo. Non funziona mai, in effetti. Che cosa vuol fare? Beh, lui avrebbe davvero voglia di voltarsi, guardarlo diritto negli occhi e chiedergli: perché? Che cosa ha fatto, di tanto terribile, da meritare di essere ignorato per più di trent’anni? Ma non lo farà. Invece prende una lenta boccata d’aria e scansa i pensieri molesti e incoerenti per tornare a concentrarsi su quello che deve fare.

 

«Indaghiamo su questa banda di allibratori. L’orologio fa tic-tac e l’Ammiraglio non aspetterà all’infinito qualche notizia da me» dichiara asciutto, osservandolo di sbieco e attendendo una sua conferma.

 

Charlie si limita ad annuire, con un piccolo broncio contrariato appiccicato alla sua ingombrante barba.

 

 

Qualcosa è andato storto, in tutta evidenza. Un momento prima sembrava spensierato e contento di godersi il suo gelato e i cetacei in piscina, il momento dopo è diventato un pezzo di ghiaccio. Che diavolo è accaduto nel frattempo? Non gli pare di averlo insultato. Beh… non volontariamente, almeno. Inutile, non lo capisce e non sembra che Jonathan abbia intenzione di farsi capire.

 

Però Charlie non è tipo da lasciarsi smontare da qualche intoppo. Ha avuto un bel po’ di dubbi, inizialmente, ma ormai si è deciso e non si lascerà certo distrarre dai nuovi capricci incomprensibili di questo strano fratello. Sembra una persona complicata, ma forse vuole solo farlo credere. Che stia tentando di dissuaderlo? Pensieroso, si chiede quale dovrebbe essere il motivo dietro il suo atteggiamento. Dopo averlo sommerso di punzecchiature, ora si tira indietro? Assurdo. No, dev’esserci sotto qualcos'altro, e scoprirà di cosa si tratta, in un modo o nell’altro.

 

Storce la bocca, dubbioso. Deve trovare un modo che non gli faccia troppo male. Non gli piace la maniera in cui lo ha guardato, le poche volte in cui lo ha chiaramente ferito. Si è sentito abbastanza a disagio e ha avuto la sensazione di essere una gran brutta persona. Beh, non lo è, e ha tutta l’intenzione di dimostrarglielo.

 

Per cominciare, scoveranno quella banda di rompiscatole che si diverte a fregare la gente credulona e la consegneranno all’Ammiraglio O’Connor. Di certo la buona volontà di fornire la sua collaborazione avrà un significato positivo per Jonathan, giusto? Se il fratellastro ha pensato che valesse la pena di cercarlo, per risolvere quella storia, allora forse varrà la pena per Charlie il dimostrargli le sue buone intenzioni. Si augura solo che tutto questo pensare e offrire aiuto porti a risultati tangibili. La sua bella vita tranquilla è andata a farsi benedire, ma forse può ancora salvare una famiglia. La loro.

Chapter 17: Capitolo Diciassette - Pesci fuor d’acqua

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Charlie lo ha trascinato in un centro scommesse. Si guarda intorno curioso. A quanto pare, ci bazzica una gran quantità di gente eterogenea, e il fratello gli ha spiegato che alcuni di loro sono dei clandestini; piccoli pesci, in realtà, ma qualcuno di loro potrebbe portarli verso la direzione giusta.

 

«Non ce lo diranno di certo spontaneamente, il nome di chi cerchiamo» dubita Johnny.

 

Charlie leva gli occhi al cielo. «Certa gente si può costringere, sai.»

 

«Mh» replica in tono dubbioso. «In che modo, esattamente?»

 

«Gli facciamo perdere un po’ di quattrini e vediamo da chi vanno a lamentarsi. E se non è quello giusto, forziamo la mano pure a lui. Prima o poi lo troviamo di certo, il capo della baracca che lavora sottobanco.»

 

«Prima o poi può anche darsi. Ma non abbiamo certo un tempo indefinito a nostra disposizione» protesta.

 

«Se hai fretta, non lo troverai mai il tuo ragno. Devi osservare dove si ricongiungono i fili della tela che ha tessuto attorno ai suoi intrallazzi» spiega con pazienza.

 

Johnny osserva il via vai di quel posto, poi i personaggi che gli ha indicato Charlie e che dovrebbero essere dei tipi loschi, ma che francamente a lui non paiono davvero un granché. Sospira, ma accetta comunque l’idea del fratello, dato che non ne ha altre di migliori.

 

«D’accordo. Proviamo nel tuo modo.»

 

Charlie sembra soddisfatto della risposta e gli spiega che, per cominciare, prenderanno da parte uno dei tre lestofanti e gli affideranno un piccolo gruzzolo chiedendogli di puntarlo sul cavallo favorito della corsa.

 

Johnny aggrotta la fronte. «E questo dove ci porterà?»

 

«Facile: a raggranellare la somma sufficiente per alzare la posta. Dopo di che inizieremo a mettere i bastoni fra le ruote degli allibratori e, con un po’ di fortuna, qualcuno non la prenderà affatto bene.»

 

«Oh!» esclama, mentre un sorriso gli sfugge. «Questa sembra davvero un’idea valida» commenta leggero.

 

«Grazie per la fiducia, eh!» borbotta Charlie, un filo irritato.

 

Johnny sogghigna e allarga le braccia. «Eh, che vuoi: io ci provo.»

 

Charlie si imbroncia, tanto per cambiare. «Sei proprio un farabutto» bercia stizzito.

 

«Se lo dici tu» ribatte, niente affatto toccato da quel giudizio.

 

 

La loro prima esca è un tipo rubicondo che Charlie chiama Picchio. Non che ci somigli molto; di solito i picchi sono più eleganti. Forse il nomignolo è dovuto a quel suo fare parecchio nervoso. Johnny rimane indietro a osservare, mentre il fratello contratta con il picchio porporeggiante. Vorrebbe tanto sapere di cosa parlano, ma la verità è che non ci sta capendo praticamente nulla dei loro discorsi. L’ha già detto che è una vera frana nel gioco d’azzardo, giusto? Potrebbe prendere da parte Charlie e chiedergli di spiegargli come funziona. E sperare che non la prenda per il verso sbagliato, ovviamente. Storce il naso, di fronte a quell’eventualità non così allettante.

 

Quando il fratello termina di maltrattare il piccolo allibratore e si volta verso di lui, ha un piccolo sorriso soddisfatto che gli rischiara il volto. Tuttavia, di lì a poco arriccia le sopracciglia, interdetto. «Che c’è?» indaga, vedendo che Johnny lo fissa con un’espressione incerta.

 

Infila le mani in tasca e si dondola sui talloni. «Mi chiedevo, sai, se avresti voglia di… ecco, insegnarmi qualche trucco» prova, mordicchiandosi una guancia. Il modo in cui il viso di Charlie si rabbuia di botto non gli offre molte speranze. Probabilmente avrebbe dovuto evitare di immischiarsi. «Non importa. Fingi che io non abbia parlato» si affretta, augurandosi di non aver incasinato troppo la loro precaria convivenza.

 

Charlie lo sta osservando in un modo strano. Sembra intento a valutarlo. Non sa cosa aspettarsi, ma non ha voglia di litigare di nuovo, per lo meno non in quel momento.

 

«Qual è il motivo?» lo interroga, prendendolo di sorpresa.

 

«Cosa intendi?» Johnny non ha capito quel che gli sta chiedendo, e scopre presto che neppure Charlie è riuscito a capire la sua richiesta.

 

«Ti sto chiedendo perché mi hai domandato di spiegarti come funziona. E, no, non venire a raccontarmi la barzelletta dell’Ammiraglio che vuole mettere sotto chiave la banda di allibratori clandestini. Tu hai in mente altro, e mi sto chiedendo cosa sia questo altro che ti passa per la testa.»

 

Johnny impallidisce. Ecco, lo sapeva che non avrebbe dovuto impicciarsi di queste cose. Accidentaccio!

 

 

Ha proprio un brutto aspetto. Non come quello che aveva dopo l’inseguimento del suo camion, ma ci va un po’ troppo vicino per i gusti di Charlie. Che il fratello abbia per la testa qualcosa, questo è certo, ma ha il fondato dubbio che non sia intenzionato a condividerla con lui. Eppure, si è deciso a fargli comunque quella richiesta che, a ben vedere, non si aspettava affatto. Può darsi che sia davvero qualcosa che ritiene importante? Non sembrava un semplice capriccio del momento, ma un’idea che si è rigirato in testa per un bel po’ di tempo. Quindi, ora, cosa dovrebbe fare? Non gli va troppo a genio di introdurre Jonathan al meraviglioso mondo del gioco d’azzardo. Sembra già un tipo bizzarro di suo, senza doverci aggiungere anche le stranezze delle sale da gioco.

 

Scuote la testa, un po’ scoraggiato. Più tempo passa assieme a lui e meno lo capisce. Avrebbe pensato l’esatto contrario, ma sembra che Jonathan sia destinato a scombinargli tutte le certezze. Che diamine!

 

«Non è che te ne andrai a sperperare le tue finanze, se accetto di darti qualche dritta?» prova, tentando di fare un minimo di chiarezza in quella situazione ingarbugliata.

 

Jonathan sbuffa, tornando a dondolarsi sui talloni. «Non mi interessa davvero questo genere di cose, sai. Ho già fin troppo a cui pensare, nel mio lavoro alla Marina, e non avrei proprio il tempo di infilarmi in qualche sciocca bisca per veder volatilizzati i miei risparmi. Volevo solo…» Sospira. Sembra irritato. «Volevo smettere di sentirmi così spaesato. Sembro uno stupido pesce fuor d’acqua, qui dentro, mentre tu… tu invece sai un sacco di cose che a me paiono incomprensibili.»

 

«Un sacco, può darsi. Non tutte. A te, per esempio, non ti riesco a capire troppo spesso» gli risponde. L’espressione del fratello gli dice che non è la risposta che si aspettava, e nemmeno quella più gradita. Sospira. «Va bene. Ti insegnerò qualcosa» accetta, abbastanza frustrato e a corto di idee migliori per risolvere quell’impiccio.

 

Forse, dopo tutto, questo lo aiuterà a entrare nella sua testa e mettere un po’ d’ordine. Jonathan abbozza un piccolo sorriso per lui, e Charlie pensa che sia sicuramente un buon passo avanti nella direzione giusta. Se solo sapesse dove porta, questa strada sconosciuta. Ma non ne ha la più pallida idea. Spera che, se non altro, lo porti più vicino a lui.