Chapter Text
Capitolo 1: NELLA BUFERA
“Artemis! Artemis!”
Spinella non si preoccupò di controllare che dall’altro lato la comunicazione fosse aperta. Non cercò di distinguere nel visore appannato se i suoi pugni stessero o meno colpendo il campanello il cui nome non riusciva a decifrare. Non badò neanche se fosse ancora schermata. Sapeva solo che non poteva fermarsi, o sarebbe morta.
Tempestò di colpi la porta, urlò nel vento, infischiandosene del fatto che qualche umano avrebbe potuto accorgersi di lei. Semplicemente nel suo cervello non c’era spazio per quei pensieri. Sentiva la propria voce, sentiva i propri arti muoversi, e voleva dire che era ancora viva, che doveva andare avanti.
Artemis l’avrebbe salvata. Artemis non l’avrebbe lasciata morire. Questo Spinella lo sapeva istintivamente, perché l’ultimo brandello di razionalità a cui era riuscita ad aggrapparsi, l’unica parte di lei che fosse qualcosa di più di un animale spaventato, era ancora impegnata a rispondere alla domanda che si stava ponendo quando una raffica l’aveva scagliata contro quella porta a cui ora era attaccata come un geco.
La domanda era: come ho fatto a cacciarmi in questa situazione?
E la ragione per cui la sua mente ci stava mettendo così tanto tempo a rispondere era che stava disperatamente cercando un appiglio per non dare ascolto alla voce che le diceva: in pratica, è colpa tua.
"So che ti sto dando zero preavviso, ma vorrei prendermi un permesso. Ho bisogno di cambiare aria."
Il comandante Algonzo non aveva neppure sollevato gli occhi dal verbale che aveva davanti: "Certo. Di quanto hai bisogno?"
Non riusciamo neanche a guardarci negli occhi, aveva pensato Spinella, e non era stata in grado di dirsi se fosse la cosa peggiore fosse quella o il fatto che la realizzazione non le suscitasse niente.
"Fino a lunedì."
Il nuovo anno, per i Fangosi. Chissà che non volesse dire qualcosa. Spinella se lo augurava. Peggio di quello passato non poteva andare, considerando che era stata catapultata nel presente scoprendo che tre anni della sua vita erano scomparsi. Con un certo cinismo, si era trovata a riflettere che era in debito di anni nuovi. Poteva prendersene uno per sé... o almeno, per riuscire a vedere la faccia di Grana senza che una parte di lei si mettesse ad urlare.
"Prenditi tutta la settimana prossima. Sai che è un periodo fiacco. A Natale sono tutti più buoni."
Non sapeva neanche, perché avesse cominciato ad uscire con Grana. Sapeva solo che entrambi avevano tirato fin troppo a lungo prima di ammettere la sconfitta. Perché la loro relazione era stata un disastro dopo l’altro, fin da quella maledetta cena, ad un ritmo così frenetico che l’unica cosa che avevano potuto fare era tenere la testa fuori dall’acqua e cercare di non affogare mentre venivano sballottati contro le rocce. E tutto perché erano entrambi troppo testardi per gettare la spugna. Che idioti. Peggio di due scolaretti alla prima cotta.
"Mi basta così, grazie.”
E così, era fuori. Era stato solo quando aveva varcato la porta della Centrale che si era resa conto delle conseguenze del proprio gesto. Un critico spietato – ne conosceva giusto un paio – le avrebbe ricordato che non c’era nulla di strano, che prima agire e poi pensare era la norma, per lei. Ma perfino Spinella si era sorpresa delle dimensioni del guaio in cui si era cacciata. Un’intera settimana – no, non è una settimana, siamo già a metà, sono tre giorni... come se cambiasse qualcosa! – di ferie. Chi. Gliel’aveva. Fatto. Fare.
Se non era tornata indietro di corsa per rimangiarsi tutto, era stato solo per via di quel maledetto orgoglio. No, aveva chiesto le ferie e adesso se le sarebbe fatte. Ma cosa faceva esattamente la gente a Natale? Spinella non ne aveva idea. Gli anni precedenti era stata ben contenta di coprire il turno – eccetto quello in cui era stata... impegnata altrove e quelli in cui era stata... irreperibile, s’intende. Vaghe immagini viste alla televisione le riempirono la mente. Addobbi. Feste. Cene con gli amici. Ma addobbare il suo appartamento, che solo lei avrebbe visto, le sembrava più triste che lasciarlo spoglio. E, quanto alle feste e alle cene, Spinella non ne aveva poi molti, di amici.
Il suo primo pensiero era stato Polledro, ma era un mese che parlava del suo viaggio alle terme di Cominetto con Cavallina. Spinella c’era stata una volta, e ancora non riusciva a capire come qualcuno potesse pagare per sottoporsi a quella tortura. Pure se Polledro fosse stato da solo, pure se l’avesse invitata, Spinella ci avrebbe pensato due volte prima di accettare. No, grazie.
N°1 sarebbe stato perfetto, perché il giovane demone stregone era capace di illuminare la giornata più buia. Impossibile tenere il muso per più di qualche minuto, quando c’era N°1 attorno. Peccato che fosse ad Atlantide per un corso d’aggiornamento.
Bombarda... Spinella era rabbrividita. Era vero che l’agenzia era chiusa per ferie, ma l’idea di divertimento e di relax del nano era diametralmente opposta alla sua. Solo per riprendersi dal trauma le sarebbe servita una seconda settimana di ferie.
Avrebbe potuto passare quei giorni dormendo... ma era un po’ di tempo che Spinella non dormiva più come avrebbe dovuto. Era meglio dell’alternativa, ma non migliorava il suo umore. No, fuori discussione.
Chi le restava? Artemis. Ed era buffo che avesse pensato al Fangosetto per ultimo. Era stato proprio lui ad invitarla a trascorrere le feste in sua compagnia, solo qualche settimana prima.
In realtà, Spinella sapeva benissimo perché. Quell’invito era stato... imbarazzante.
“Spinella.”
“Buongiorno, Fangosetto. Niente video, oggi?”
“No, niente video.” E, anche senza vederlo in faccia, aveva saputo che stava sogghignando. “Sto facendo la doccia e non vorrei turbarti troppo...”
Spinella era arrossita, il che era un problema, perché lei il video l’aveva attivato e Artemis poteva vederla perfettamente. Si era augurata che la sua carnagione nascondesse il rossore, ma con il Fangosetto e quella sua testolina acuta non c’era da sperarci troppo. E poi non capiva cosa l’avesse fatta arrossire. Non era certo la prima volta che vedeva Artemis senza vestiti addosso, o quasi.
Ovviamente, poteva starla prendendo per i fondelli, e Spinella non se ne sarebbe stupita, ma era ragionevolmente sicura che almeno stavolta stesse dicendo la verità. Sentiva l’acqua scrosciare sotto alle parole di Artemis. Era stato dopo una decina di minuti che avevano passato ad aggiornarsi sulle rispettive vite: Artemis aveva ripreso dove l’aveva lasciata la volta scorsa, a lamentarsi del party in maschera che aveva organizzato sua madre e – quanto a Spinella – il fatto stesso che non lo avesse contattato per chiedere aiuto diceva ad Artemis che sottoterra doveva andare tutto ragionevolmente bene. Quanto alla sua quotidianità, Spinella aveva mentito. Stava diventando piuttosto brava, anche se non c’era modo di dire se abbastanza brava da fregare Artemis. Comunque, il Fangosetto non aveva sollevato obiezioni. Era stato allora che era arrivata la proposta.
“Se non hai già altri progetti, ci farebbe piacere se volessi trascorrere la vigilia del nuovo anno assieme a noi.”
Purtroppo, proprio mentre parlava Artemis doveva essersi spostato, perché lo scosciare dell’acqua era raddoppiato di intensità, coprendo le sue parole.
“Cosa?”
“Ho detto che a me e a Minerva farebbe piacere se volessi trascorrere la vigilia del nuovo anno assieme a noi.”
“Non puoi abbassare un po’ l’acqua?”, aveva protestato Spinella. “Non si sente niente di quello che dici.”
E poi, dal nulla, era arrivata una risata femminile: “L’acqua resta com’è, capitano.”
Minerva? “Artemis, cosa ci fa Minerva in doccia con te?”
“Non lo so”, aveva risposto la ragazza, la voce che grondava di sarcasmo. “Secondo te cosa potrò mai farci in doccia con A... hhh!... rte... mhhh...”
Spinella aveva chiuso la comunicazione in fretta e furia, il viso di una tonalità di rosso barbabietola che avrebbe fatto invidia al fu comandante Tubero. Non aveva mai saputo che Artemis aveva scosso la testa mentre ritirava la mano tra i battenti della doccia: “A volte mi chiedo se davvero tu sia la più matura tra noi due...”
Una Minerva completamente vestita l’aveva guardata da sopra il nasino all’insù: “Se Spinella ti conosce così poco da ritenere il nostro siparietto una scena plausibile, è un problema suo e non mio.”
Arroganza e zero segni di pentimento. Artemis aveva sorriso: “Posso concordare, ma quante possibilità credi che ci siano che si faccia viva, adesso?”
“Dipende.”
“Da quanto seria è la questione su cui ci sta mentendo.”
“Oui. E dal fatto che sia o meno una a cui piace guardare.”
“Minerva!”
“Già di ritorno”, aveva osservato Grana. “Hai cambiato idea?”
Un tempo, Spinella avrebbe riso. Non più. Non dopo quello che era successo.
“Mi servirebbe un’altra cosa." Aveva preso un respiro profondo. Non la si sarebbe detta ultraottantenne, in quel momento: "...un permesso per la superficie."
La diceva lunga come stavano le cose tra loro due il fatto che Grana gliel’avesse allungato senza fiatare.
Stava ancora pensando a quella conversazione mentre sorvolava il sud della Francia. Aveva azzerato le notifiche dell’elmetto, preferendo concentrarsi sull’aria che fischiava contro il suo viso, immaginandola strappare via i suoi pensieri, allungarli dietro le sue spalle come la coda di una cometa. Se non l’avesse fatto, forse avrebbe notato l’icona che lampeggiava cremisi all’angolo del suo campo visivo. Un’icona che indicava che la LEP aveva sospeso tutti i voli sull’Europa centrale a causa del tempo avverso. Se ne accorse proprio nel momento in cui la tempesta la investì.
Delle specie del Popolo, solo i troll – ammesso che li si voglia annoverare come tali – sopportano bene il freddo. E Spinella, in particolare, detestava il ghiaccio. Il viaggio in Artico di tre (sei, per il resto del mondo) anni prima sarebbe stato sgradevole anche se non avesse coinvolto una rivolta di goblin, un treno radioattivo e la perdita di un dito, e ora si ritrovava nel bel mezzo di una tempesta di neve. E “nel bel mezzo di una tempesta di neve” non era un eufemismo: il motore faceva ben poco per contrastare la furia della tormenta, e le folate di vento continuavano ad afferrarle le ali per poi farla ricadere dieci metri più in alto, senza fiato.
La neve scivolava senza far presa sulla visiera dell’elmetto, eppure Spinella dubitava che avrebbe fatto questa gran differenza. Davanti a sé vedeva solo bianco, bianco e bianco. Ormai aveva rinunciato a distinguere il sopra dal sotto, la sinistra dalla destra, affidandosi unicamente al navigatore. Aveva già evitato a stento di andare a schiantarsi contro un palazzo. Due volte.
L’icona all’angolo del suo campo visivo bippava furiosamente di togliersi di lì, ma Spinella l’aveva ignorata – grazie, lo so – presa com’era da problemi più urgenti. Ad esempio, il gelo che sentiva penetrare nelle ossa ogni secondo più di prima. Il che, teoricamente, avrebbe dovuto essere impossibile. La ScintilTuta avrebbe dovuto essere completamente isolata. Darò a Polledro una bella strigliata di quelle orecchie d’asino, si era appuntata l’elfa. Ma a quel pensiero ne era seguito immediatamente un altro: sempre che sopravviva ad oggi.
Spinella si era sforzata di ricacciarlo da dov’era venuto, ma quello tornava puntualmente a ripresentarsi ad ogni folata di vento che la calciava verso l’alto, ad ogni mulinello che le faceva perdere quota. Dopo essersi azzuffata con un troll ed essere stata infilzata da un demone (non è mai successo), era così che finiva? Come una pivella alla sua prima missione in superficie, solo perché non aveva pensato di controllare il meteo?
E probabilmente sarebbe effettivamente andata così, se le Rondone 1.1 non fossero state dotate di un pilota automatico collegato al tracciatore dell’elmetto. Un attimo prima Spinella aveva sentito i suoi occhi che si chiudevano, quello dopo era andata a schiantarsi a venti km/h contro un portone di legno. Avrebbe dovuto far parecchio male. Invece non aveva sentito niente. Non era un buon segno, ma – almeno a dar retta all’allegro, incongruo bippare dell’elmetto – era arrivata a destinazione.
Una parte di Spinella si era accorta in quel momento di non avere idea di che fine avesse fatto la sua borsa. Forse l’aveva persa nella tormenta e a quest’ora qualche Fangoso stava scoprendo in un mucchio di biancheria l’esistenza del Popolo. L’idea avrebbe dovuto preoccuparla e invece era solo un piccolo pensiero al margine della mente. Era rimasta a fissare il portone per un secondo, due, con quel freddo glaciale che le penetrava nelle ossa e le rendeva così difficile stare attaccata – stare sveglia – prima che il suo cervello realizzasse che Artemis non aveva modo di sapere che lei era lì.
“Artemis! Artemis!”
Perché non ti lasci andare, Capitano Tappo?, le aveva sussurrato una vocina dentro alla testa. Sei viva solo perché un Fangosetto è stato troppo ostinato per lasciarti morire (non è mai successo), e abbastanza geniale da riuscirci. In pratica, sei un errore. Perché non finirla qui? Non è la maniera peggiore per andarsene.
Era suadente, quella voce. Ed era vero che Spinella era stanca. Stanca di lottare e, dentro di sé, stanca di qualcosa di più profondo. E forse davvero avrebbe accolto il consiglio della voce, si sarebbe rannicchiata sui gradini e avrebbe chiuso gli occhi, se una raffica particolarmente violenta non l’aveva rispedita a sbattere contro il portone. Colpì il legno con tanta forza che la testa le rintronò dentro all’elmetto, ma la botta le restituì anche il filo di lucidità di cui aveva bisogno.
Il totalsensor, idiota!
Il totalsensor, giusto. Le era parso che ci volesse un’eternità per girarlo. Le dita non rispondevano più ai suoi comandi, costringendola a ruotare l’intero polso. “Artemis!”, aveva gridato. Aveva implorato.
Non si era preoccupata di controllare che dall’altro lato la comunicazione fosse aperta. Non aveva cercato di distinguere nel visore appannato se i suoi pugni stessero o meno colpendo il campanello il cui nome non riusciva a decifrare. Non aveva badato neanche se fosse ancora schermata. Sapeva solo che non poteva fermarsi, o sarebbe morta.
Aveva tempestato di colpi la porta, aveva urlato nel vento, infischiandosene del fatto che qualche umano avrebbe potuto accorgersi di lei. Semplicemente nel suo cervello non c’era spazio per quei pensieri. Sentiva la propria voce, sentiva i propri arti muoversi, e voleva dire che era ancora viva, che doveva andare avanti.
Artemis l’avrebbe salvata. Artemis non l’avrebbe lasciata morire. Questo Spinella lo sapeva istintivamente, perché l’ultimo brandello di razionalità a cui era riuscita ad aggrapparsi, l’unica parte di lei che fosse qualcosa di più di un animale spaventato, aveva finalmente risposto alla domanda che si stava ponendo quando una raffica l’aveva scagliata contro quella porta a cui ora era attaccata come un geco.
La domanda era: come ho fatto a cacciarmi in questa situazione?
E la ragione per cui la sua mente ci aveva messo così tanto tempo a rispondere era che aveva disperatamente cercato un appiglio per non dare ascolto alla voce che le diceva: in pratica, è colpa tua.
Ora, però, Spinella riconosceva quella voce. Apparteneva ad Artemis.
Che cosa buffa, fu il suo ultimo pensiero mentre gli occhi le si chiudevano, morire con le parole di un Fangosetto.
Non seppe di non essere mai andata a sbattere contro i gradini. La porta si era aperta, e mani sottili ed eleganti – mani da pianista, le chiamavano gli umani – l’avevano afferrata al volo.