Chapter Text
Al funerale ci sono tutti, Veneri, non—Veneri e non—più—Veneri, ma Riccardo non sa più riconoscere i volti e le voci e i luoghi, e quindi stringe mani e accetta condoglianze e stringe i denti pregando che finisca il prima possibile.
Marta, al suo fianco, gli poggia una mano sulla schiena come per tenerlo in equilibrio, per tenerlo in piedi, per tenerlo aggrappato alla vita. (Riccardo ricorda che ha fatto la stessa cosa con lei, una vita fa, quando è morta la mamma e se l'è stretta addosso e ha provato a non farle capire che stava tremando, anche se non stava piangendo).
Marta risponde per lui quando gli manca il fiato, gli si mette davanti di un passo per schermarlo alla bramosia della gente. Nessun giornalista, solo amici, solo parenti, ma la curiosità si mischia comunque al dolore.
Marta lo chiama, lo sospinge, lo guida. Alzati, siediti, inginocchiati, cammina. La comunione. Amen, Riccardo, ringrazia il Signore per aver posto fine al dolore, per averla elevata a una Casa più grande e più bella e più buona di quanto tutti i tuoi soldi avrebbero mai potuto comprare. China il capo, giungi le mani, dalla a me, la mano. Lo porto con te, lo portiamo insieme, questo peso, questo lutto, come mi hai detto quando ero piccola, come quando se ne è andata la mamma. (Riccardo le detesta le perifrasi. Non se n'è andata, non è scomparsa, non li ha lasciati. Non l'ha fatto apposta, non l'ha persa di vista giocando a nascondino. È morta).
Marta gli parla con gli occhi, automatismi imparati durante l'infanzia, affilati durante pranzi e cene eterni, tra le imposizioni di papà e le aspettative della zia. Marta gli stringe la mano, lo guida, lo tiene in piedi, lo tiene in vita, e Riccardo la lascia fare. Annuisce quando gli dice che devono andare al cimitero, muove un passo e poi un altro e un altro ancora. È come essere sott'acqua, come essere in un sogno. (Riccardo se l'è immaginato spesso come deve essere stato morire. Lui la mamma non l'ha vista, la zia si è opposta con tutte le sue forze — È un bambino, Umberto! ha gridato, e Riccardo si è chiesto perchè nessuno asciugasse le sue lacrime come tutti facevano con lui e sua sorella. Forse perchè quelle della zia restavano impigliate tra le ciglia e di loro restava traccia solo al mattino, sul cuscino bagnato).
Marta lo tiene d'occhio, pesante, presente. Riccardo si chiede quanti campanelli d'allarme stiano suonando nella sua mente, quanti in quella di Vittorio. Lo affiancano come soldati, come carcerieri, come angeli custodi. Destra e sinistra per parare i colpi, guardare negli angoli ciechi, impedirgli di crollare quando è tutto finito, la tomba è chiusa, nulla resta, nemmeno un cadavere. Polvere eri e polvere ritornerai, ma quanto ci si impiega? Riccardo poco. Riccardo è già polvere, una questione di istanti da quando lo ha saputo. Cinque dita che hanno appena fatto in tempo a stringerne uno suo. Labbra esangui che hanno appena fatto in tempo a dargli un bacio, a dirgli che lo amava, a raccomandargli Margherita.
"Voglio andare a casa".
Non ci sono giornalisti. Saranno Veneri e non—Veneri e non—più—Veneri a parlarne. Della sua fuga. Di Vittorio che gli cinge le spalle e lo carica in macchina. Della sua voce che non si è sentita, dei suoi occhi che non hanno pianto. Riccardo non piange mai ai funerali, ma i ricordi se li porta scolpiti nel cuore, lo stesso, anche se nessuno glielo ha mai chiesto, anche se forse a nessuno interessa. Riccardo è un vedovo e qualcos'altro per cui non c'è nome, quindi gli si può perdonare tutto, almeno oggi, almeno adesso, anche se è il funerale. (Soprattutto se è il funerale).
"È andato, Riccardo", gli dice Vittorio mentre, con Italo, lo mette a letto. Gli toglie le scarpe, la giacca e la cravatta, gli allenta un paio di bottoni della camicia, gli scosta i capelli sudati dalla fronte. (Forse ha la febbre. È novembre, non dovrebbe essere sudato). È nella stanza della sua infanzia, quella dove una volta ha dormito un bambino cui suo nonno ha rovinato la vita e distrutto la famiglia, che la mamma gli ha detto, ancora piccolo, di arredare come voleva, con i giochi e i disegni e i vestiti sempre in disordine perchè tanto c'erano i domestici, di cui la zia ha cambiato colore e disposizione perchè era l'unico modo che aveva trovato per sentirsi in controllo di qualcosa. (Riccardo non ha mai capito questa cosa per cui la gente dice che è difficile da leggere. Forse è perchè tante cose che ha fatto la zia le avrebbe fatte anche lui, che altrettante le ha già fatte anche lui).
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Margherita le si è attaccata alla vita e Adelaide le carezza i capelli, le sistema, ancora una volta, il colletto del cappotto blu scuro, la guarda negli occhi chiarissimi che sono stati suoi e di sua sorella e dei suoi nipoti (e di sua figlia) e che adesso sono rossi di pianto. Margherita non ha versato lacrima da che sono arrivati in chiesa, ma Silvia Cattaneo ha dovuto asciugargliene a fiumi mentre la vestivano, attenta che nessuna sfuggisse, che nessuna finisse sul vestito nuovo e sul cappotto nuovo comprato in tutta fretta.
Adelaide si chiede distratta che fine abbia fatto, la signora, ma non le interessa più di tanto. Forse è col marito, forse col figlio, forse a rivedere gente che credeva non avrebbe più avuto l'occasione. Adelaide ha Margherita a cui badare ed è una cosa che sa fare: prendere orfani sperduti e ricucire i loro cuori, anche se i risultati non sono mai all'altezza delle aspettative, degli sforzi che ci mette. (Rompe sempre qualcosa, perde sempre qualche pezzo per strada, ma non questa volta, non Margherita — oh, quanto l'ha odiata Nicoletta, quando lo ha saputo, come se il nome lo avesse rubato, come se si andasse a gettare sale su una ferita mai cucita, a riportare in vita i fantasmi. Con tutti i nomi che ci sono, ha pensato, prima di consolarsi, di pensare che lei quella bambina non l'avrebbe vista, che sarebbe stata figlia di un altro uomo, che non avrebbe dovuto imparare ad accostare un nuovo volto al nome di sua sorella).
Margherita la guarda e la stringe, la ancora in piedi sulla ghiaia del cimitero, davanti alla tomba, che ha guardato intensamente e indicato una sola volta. "Mamma", ha detto, tirandole una manica — la sola parola che ha pronunciato in tutta la giornata.
"Sì". Adelaide ha risposto impacciata, passandole una mano tra i capelli, scompigliandoglieli un po', ma a chi importa, si è detta, a lei no di certo. Nemmeno alla bambina che le si è stretta addosso e ha nascosto il viso nel suo cappotto.
Adelaide ha cercato Riccardo e ha incontrato gli occhi di Marta, gentili ma fermi nel fare le sue veci, nel ringraziare e ricambiare saluti. (Riccardo che non piange, che non grida, che non si chiude in camera solo perchè ha una figlia a cui badare, che guarda disperato il carrello dei liquori, ma non osa mai versarsi nulla) (Lei ha proposto di farli sparire, ma Umberto per poco non le ha riso in faccia. "Sei la solita esagerata. Non pensare a quello che è successo per un istante potrebbe solo aiutarlo" — e chi lo sa meglio di lui, che se n'è andato a New York lasciandola sola con due bambini ancora vestiti a lutto?).
Adelaide ingoia un sospiro, si impone di non tremare. Di Nicoletta Cattaneo le importa in maniera troppo distante e non è così ipocrita da negarlo, da fingere dolore e prostrazione che non le appartengono — la madre di sua nipote, l'amore della vita di Riccardo, una cara amica di Marta, una presenza che ha imparato ad accettare e a cui si è quasi affezionata, a cui forse avrebbe potuto imparare anche a voler bene, adesso che c'è Marcello, adesso che si sta riscoprendo più morbida e accogliente —, ma la preoccupazione la schiaccia, le toglie il respiro. Per i suoi nipoti. Per il futuro. Per quel qualcosa di fragilissimo che ha dovuto lasciare a Ginevra perchè non poteva non tornare, ma non poteva nemmeno chiedere a Odile di accompagnarla. Troppo presto. Troppo fragile. Stanno ancora imparando a guardarlo negli occhi, a capire cosa vuol dire essersi trovate dopo una vita di assenza e di imbrogli.
Margherita che alza le braccia per essere presa in braccio sembra darle tutte le risposte che cerca. Adelaide la culla, non la sgrida quando mette il pollice in bocca, anche se è troppo grande e rischia di rovinarsi i denti. Le bacia I capelli e aspetta che si addormenti, mentre Conti, in un gesto di umanità provvidenziale, porta Riccardo via da questo teatro dell'orrore, anche se nulla serve contro i suoi fantasmi. (Non temesse di fare più male che bene, Adelaide gli offrirebbe i suoi sonniferi).
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Gabriella la abbraccia e poi Roberta e Tina e persino Elena, vestita a lutto e con gli occhi gonfi. Marta le accoglie tutte, sorride intenerita quando si aggiunge Irene, ponte tra passato e presente.
Non manca nessuno. Ci sono Veneri vecchi e Veneri nuove, un po' in disparte, un po' impacciato, Roberto Landi accanto a Gemma e Marco, e Silvia e Luciano che si parlano, piano, piano, stravolti, piangenti. Clelia si è presa Delia, col trucco sbavato, e Gabriella, che piange da ore o forse da giorni. Le ha chiamate lei, le loro amiche. Lei che è corsa in ospedale, che ha dato una mano a Silvia con Margherita mentre Riccardo era troppo sperduto per capire anche solo dove si trovasse, che è andata per negozi con Nicoletta a scegliere vestitini per una bambina che non li indosserà mai. È nata troppo presto, hanno detto i medici, o, almeno le ha detto suo fratello, e si è portata via anche la madre. Come se fosse colpa sua, anche se Riccardo piange entrambe con la stessa disperazione.
"Era così felice" biascica Gabriella tra un singhiozzo e l'altro, nell'abbraccio materno della sua non più capocommessa, e Marta non le dice di smetterla, anche se vorrebbe. Perchè è quello che dicono tutti da che è arrivata. Tutti quelli che erano a Parigi, quindi non tanti, ma comunque troppi. Come se ci fosse bisogno. Come se non lo sapesse anche lei che Nicoletta la sentiva per lettera e per telefono.
"Come —" Elena esita prima di chiedere, la voce spezzata da un singhiozzo. Antonio si volta nella loro direzione, come se lo sentisse proprio il dolore della moglie, come se non osasse interferire da dove parla col fratello che questa tragedia gli ha dato il pretesto di rivedere. Anche sua madre è tornata dall'Inghilterra. "Come si chiamava? La bambina". È una domanda bella. È una domanda che pochi hanno fatto: sono qui per Nicoletta, Marta lo sa e non ne fa una colpa. Sarebbe ipocrita.
"Adelaide" risponde. Le sembra di avere il vetro in gola. (I medici gli avevano detto che alla bambina sarebbe servita forza, anche se già sapevano che non ce l'avrebbe fatta, e la zia è sempre stata la donna più forte che Riccardo abbia mai conosciuto) (È solo una bruttissima ironia, questa, solo una capovolta versione della storia: a quanto pare non ce n'è, per Adelaide e Margherita, una in cui essere insieme per del tempo che non sembri, al meglio, rubato).
Nessuna obietta o commenta e Marta cerca la zia. L'ultimo sguardo che si sono scambiate risale a minuti che sembrano ore. C'era ancora Riccardo, ancora Vittorio, a darle l'illusione che fossero in due a sorreggere questo castello di carte.
La trova un po' in disparte, Margherita addormentata tra le braccia, Marcello appena un passo indietro. È in buone mani (sua zia o sua nipote?). Anche Marta vorrebbe qualcuno che la consoli, ma Clelia si è presa le Veneri e Tina è scappata da sua madre e prima che possa cercare Roberta, si trova soffocata dall'abbraccio di Federico. Ricambiarlo è automatico, ma la lascia spossata. Suo fratello si lascia cadere addosso a lei e Marta vacilla sotto il peso suo e dei loro segreti. (In America era più facile. In America il suo nome non valeva niente e non c'erano giornalisti pronti a vendersi l'anima per questa storia, per questo tradimento).
Federico trema ed è giusto: è novembre, sono a un funerale. Trema anche Marta ma per motivi meno nobili: è stanca di esser forte, di non potersi piegare in due e spezzarsi perchè Margherita potrebbe essere dietro l'angolo, con gli occhi lucidi e un vuoto nel petto più grande di lei. (Marta odia zia Adelaide per averlo fatto sembrare facile: arrivare, cambiare l'arredamento, dispensare sorrisi e consigli non richiesti, imporsi con un'irruenza che lei non sa copiare). Così lo stringe e si lascia stringere e se qualcuno — vecchio o nuovo — ha qualche domanda, qualche dubbio o sospetto non ha importanza. Perchè nessuno sa e nessuno ha prove e tutti quelli che c'erano sanno la sintonia che c'è sempre stata tra loro, tutti sanno che hanno lavorato insieme in America. E se Roberta, pallida pallida con una fede al dito che Marta nota solo adesso, si fa loro incontro è suo fratello il primo ad avvolgerla in un altro abbraccio, seguito da lei e da Gabriella e poi, una a una, da tutte quante le ragazze che con Nicoletta ci hanno lavorato e poi l'hanno vista volare verso il suo sogno d'amore.
(Marta vorrebbe solo volare verso il suo letto, magari chiedere alla zia qualcuno dei suoi sonniferi, solo che pensandoci è meglio di no, prima che poi succedano cose che non devono succedere, che Margherita la chiami e lei non la senta, che ci sia bisogno di lei e lei non ci sia) (È cosi che si è sentita la zia quando è morta la mamma? Perennemente sul chi vive?).
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Riccardo sogna e nei suoi sogni ci sono — nell'ordine — il mare, sua madre, sua moglie e sua figlia. (Adelaide, l'ha chiamata, anche se era nato per scherzo, una battuta di Nicoletta su come sarebbe stato necessario per non offendere la zia. Adelaide perchè Riccardo era nel panico, perchè gli hanno detto che la bambina sarebbe morta e stavano facendo il possibile perchè non morisse anche la madre, e avrebbe voluto la mamma, ma la mamma non poteva esserci e, allora, sarebbe andata bene la zia, che detta così sembra una classifica, ma non lo è. È solo istinto. Adelaide perchè Riccardo ha sempre pensato che sua zia sia la donna più forte che conosca e che, magari, un po' di quella forza poteva passare a sua figlia attraverso il nome).
Sono a Rapallo ed è estate — le estati lunghe e indolenti della sua infanzia —, e loro potrebbero essere in un quadro. Il sole splende di un caldo che non soffoca, il mare si infrange, un po' più in là, un po' più in giù, e, con la salsedine, porta la promessa di ore infinite a giocare, e poi c'è un cielo terso che sembra di zaffiri e una brezza leggera che gli scompiglia i capelli, che scompiglia i vestiti alle sue donne. Sono sedute in giardino, abiti bianchi si aprono sotto di loro come corolle — quattro margherite solo per lui (m'ama non m'ama, mamma non mamma — dov'è la mamma?) —, parlano ma non emettono suono, gli sembrano vicinissime eppure lontane, una distanza impossibile da colmare. Riccardo muove un passo e poi un altro, ma loro sono sempre là, a bere limonata su una coperta da picnic, e lui è come Achille che fa a gara con la tartaruga. Perchè loro sono morte e lui no e non riesce a volere di essere morto anche lui — non abbastanza, perchè c'è Margherita, quella vera che lo aspetta, che lo cerca e (dov'è Margherita?).
"Margherita!".
Riccardo si mette a sedere che ha ancora gli occhi chiusi, le mani che fendono l'aria alla ricerca della figlia, un grido disperato sulle labbra. Si sveglia con un peso sul cuore e sullo stomaco, nei vestiti del funerale che vuole bruciare, nel letto della sua infanzia e, per un istante, non sa più chi è. Non sa più chi chiama. Passato e presente si sciolgono nella figura di zia Adelaide seduta sulla sedia che ricorda vagamente occupata da Vittorio, che gli scosta i capelli dalla fronte e gli sussurra bugie più dolci della verità, promesse che, lo sa, vuole con tutta se stessa si avverino. (Chi ha messo in giro la storia della Regina del Terrore è un povero idiota che non ha capito niente, perchè non c'è niente di meno spaventoso della zia. Lo ha detto una volta, ragazzini, a una scettica Ludovica, che gli ha ribattuto che la Contessa fa paura eccome, quando si arrabbia. Solo che Riccardo non stava parlando della Contessa, ma di sua zia, che sono due persone diverse, anche se nessuno sembra capirlo. E poi, nemmeno la Contessa fa tutto questo spavento, se la si sa prendere. Lui ha sempre saputo prenderla, perchè la zia gli ha insegnato il sarcasmo e l'arte di ridere in faccia ai bisbigli, di rispondere alle ingiurie con citazioni colte e sempre, sempre, sempre il sorriso sulle labbra. Perchè nessuno lo deve vedere, il cuore in frantumi).
"Margherita?" biascica tra un singhiozzo e l'altro, fermando il fiume di buone intenzioni, ma non le carezze.
"È con Marta. Ha cenato e la sta mettendo a letto."
"Cenato? Ma che ore sono?".
Per la pima volta da che vi è tornato si guarda intorno e si accorge della sera ormai calata dietro le tende bianche, oltre le finestre chiuse. Il lampadario è spento, ma la lampada sul comò è accesa e avvolge lui e la zia e una porzione di letto in una luce soffusa. Sembra un mondo fuori dal mondo, come i fortini che costruivano lui, sua sorella e suo padre quando la mamma stava bene e la vita era fatta di giochi.
"Quasi le nove. Margherita era esausta, ma ho pensato che fosse meglio mangiasse qualcosa ugualmente".
Riccardo lo sa che avrebbe dovuto pensarci lui. (Niente gli è più chiaro, di quei giorni dopo il funerale, dell'assenza di due posti a tavola, della porta dello studio sempre chiusa, del telefono che suonava e suonava e dell'odore del sigaro che sembrava appestare la casa. Riccardo si era chiuso nella sua stanza perchè, forse, suo padre sarebbe stato costretto a venirlo a cercare e ricordare che di figli ne aveva due in carne e ossa e non solo i quattrini che gli fruttavano i suoi affari. Era sempre la zia a bussare, invece, e credeva anche di essere brava a nascondere quanto il suo isolamento la turbasse).
"Grazie" mormora contro la sua spalla — si è cambiata: indossa una camicetta e una gonna scure, ma non si è ancora sciolta i capelli. Riccardo allunga una mano e le sfila una forcina. Era il gioco preferito di sua sorella da bambina, prima di scoprire la fotografia: le metteva sedute, la zia e la mamma, e disfava acconciature che chissà quanto tempo avevano necessitato, perchè nulla batteva la magia delle ciocche che cadevano mosse, naturali, lungo le spalle.
"Ho pensato che fosse meglio lasciare che tu riposassi".
(Nessuno lo capisce, nemmeno suo padre, che zia Adelaide vince sempre perchè sa scegliere le sue battaglie).
"Ti voglio bene."
"Anch'io, tesoro. Vuoi qualcosa?"
"Resta qui". Come quando ero piccolo ed era morta la mamma e Marta piangeva e io ti venivo a svegliare perchè non sapevo come calmarla e allora, visto che in realtà non lo sapevi nemmeno tu, finivamo a mangiare cioccolata in salotto. Una volta la zia aveva persino provato a fare la cioccolata calda. Era venuta troppo liquida e avevano rischiato di dar fuoco alla casa almeno un paio di volte, ma quelle prime feste senza la mamma erano sembrate, per un paio d'ore, un po' meno gelide.
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Margherita dorme e sembra un angelo e Marta non ha la forza di alzarsi, così si sdraia accanto a lei. Cinque minuti. Chiudo un attimo gli occhi e poi torno in camera, mi cambio e vado a letto e supplico che sia tutto un brutto sogno. Solo che poi sua nipote si agita nel sonno e Marta pensa che fa abbastanza freddo per la cioccolata calda e che lei almeno quella dovrebbe saperla fare e, allora, sgattaiola in cucina anche se non è ancora così tardi e si mette a cercare latte e cacao e poi il pentolino e il cucchiaio e le tazzine e — e Marta non l'ha mai fatta la cioccolata calda, ma se c'è riuscita la zia possono riuscirci tutti, no?
Forse no, però lei sì, e sicuramente non è buona o e densa come quella del bar, ma è sua ed è fatta con amore e gli occhi finalmente accesi di gioia di Margherita le scaldano il cuore.
"Tatie, resti qui con me?"
"Ma certo".
(Marta non credeva lo avrebbe mai più sperimentato il corpo caldo di un bambino contro il suo ed è una cosa bella e straziante e nuova perchè la piccola Anna era appena una neonata e sua nipote, invece, le si mette addosso, le artiglia i vestiti come dovesse aggrapparsi alla vita e chiama la mamma, nel sonno, e le dà un paio di calci e bisogna continuamente ricoprirla perchè si agita talmente tanto che si libera delle coperte. Un agitarsi buono, però, di bei sogni che sanno di caramelle e primavera, che le lascia il sorriso sulle labbra).
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Adelaide controlla ogni stanza, si assicura che ogni luce sia spenta, che ogni finestra ben chiusa come se non ci avessero già pensato i domestici, prima di chiudersi in camera. Lascia la luce accesa accanto al letto di Riccardo, sospinge una addormentata Marta un po' più al centro del letto così che non cada, porta le due tazze sporche in cucina dove sembra sia passato un terremoto, ma non era poi diverso quando la cioccolata ha provato a farla lei quel primo Natale che nessuno voleva festeggiare e Umberto era più intrattabile del solito e i bambini non sapevano che farsene dei regali sotto l'albero quando l'unico che volevano non glielo poteva restituire nessuno, prima di abbandonarsi tra le braccia di Marcello. Si lascia baciare i capelli e la fronte, svestire con la reverenza che di solito precede una notte d'amore, ma oggi ha solo il desiderio di farla star bene, di portarla a infilarsi sotto le coperte per riposare. (Anche questo è amore. Soprattutto questo è amore).
"Sono stanca" ammette in un sospiro, uno sforzo sovraumano perchè non ci è abituata, a dirle, le cose, al fatto che a qualcuno possa importare.
"È stata una giornata faticosa." la rassicura lui, intrecciando le loro dita, perchè ha imparato presto, Marcello, che le servono conferme, che qualcuno le dica che le è permesso non stare bene. (Perchè lei glielo ha lasciato imparare).
"Marta dorme con Margherita."
"Riccardo?" — gli interessa, questa è la differenza fra lui e tutti gli altri, che gli interessa davvero e forse gli interessa perchè interessa a lei, ma è più di quanto chiunque altro possa dire di aver fatto.
"Dorme", ma Adelaide ha lasciato ugualmente la porta socchiusa perchè il sonno di suo nipote è frammentato e gli incubi sono sempre in agguato (e Marcello glielo ha lasciato fare. Tanto cosa c'è da nascondere? Tutti sanno che è qui, con lei, nel suo letto e nessuno ha il diritto di dire nulla perchè è la sua vita e ha il diritto di viverla come meglio crede).
"Bene. Ne ha bisogno."
"Ne abbiamo bisogno tutti". Perchè Nicoletta Cattaneo non era e non sarebbe mai stata la sua persona preferita sulla faccia della Terra, ma non meritava di morire così giovane e in modo così crudele. Perchè la piccola Adelaide ("Zia, lo sai che ho avuto una sorellina che si chiama come te? Solo che secondo me è un nome troppo lungo per una bambina piccolina quindi ho deciso che la chiamerò Dedè. Zia, lo sai che la mia sorellina è in cielo con la mamma e la nonna Margherita?") è morta dopo pochissimi minuti di vita e persino quelli sono stati un'agonia. Perchè la piccola Margherita le si è aggrappata addosso con tutte le sue forze e, anche una volta tornati in villa, non ha voluto essere messa giù. Perchè Marta si è messa a fare la cioccolata calda (e Adelaide è terrorizzata: no, bambina mia, non anche tu, non seguirmi, non copiarmi, non c'è bisogno. Torna in America, continua la tua carriera, trova l'amore, ci penso io qui, non tocca a te). Perchè Odile ha mandato un telegramma di condoglianze che non è passato inosservato a Umberto. "Puoi sempre tornare a Ginevra, possiamo cavarcela da soli", ma sa che, dovesse farlo davvero, glielo rinfaccerebbe alla prima occasione e comunque non c'è verso che lasci Riccardo nelle sue mani, non adesso, non in questo stato. Non glielo ha detto, però. Si è limitata a intimargli di prepararsi che non c'era bisogno di arrivare in ritardo al funerale di sua nuora.
"Nel tutti sei compresa anche tu."
"Adesso dormo."
"Se preferisci parlare —"
"No, non ora. Sono davvero esausta".
Inclina il capo per guardarlo, ma Marcello, che la stringe così da avere il petto contro la sua schiena e da circondarle la vita con le braccia, le bacia la guancia e le sorride tranquillo.
"La mia offerta è valdia in qualsiasi momento tu dovessi decidere di coglierla".
(E Adelaide si chiede se è questa sensazione di calore nel petto l'amore).
