Chapter Text
Alice è seduta a terra, a gambe incrociate, il busto leggermente piegato in avanti. C'è una calma quasi ipnotica nei suoi movimenti: tra le dita sottili tiene ago e filo, muovendoli con una pazienza che Andrea non le ha mai visto in nessun'altra situazione. È il tipo di concentrazione che lui stesso fatica ad avere — il mondo potrebbe esplodere e lei continuerebbe a fissare quel pezzetto di tulle, cercando di domarlo sul polsino del pigiama oversize che sta personalizzando per la festa. Ogni tanto si ferma, inclina la testa come fanno i pittori davanti a un quadro appena iniziato, poi riprende con quei punti minuscoli e regolari.
Andrea la guarda un attimo più del necessario, e sente una fitta di orgoglio, di tenerezza. C'è qualcosa in quella scena che gli ricorda tutte le sere passate a inventarsi lavoretti, recite improvvisate, costumi improbabili solo per vederla sorridere. E anche se a volte ha paura di non averle dato abbastanza, momenti così gli fanno pensare che forse, in certi dettagli, lui sia riuscito a esserci davvero.
Si scuote, rimettendosi in posizione. È in piedi accanto alla macchina da cucire, gli occhiali scivolati sul naso, la lingua che spunta appena tra le labbra in un'espressione di concentrazione intensa — e, se è onesto, un po' teatrale. Sta regolando la tensione del filo come se stesse disinnescando una bomba aliena, muovendosi con una cautela quasi comica.
«Aoh, te rendi conto che sto letteralmente creando un capolavoro co' le mie mani, sì?» annuncia gonfiando il petto e sollevando un nastro come fosse un trofeo appena vinto. Lo infila con gesto plateale nell'asola del collo del pigiama, come se stesse completando l'opera di un maestro.
Alice solleva gli occhi al cielo senza smettere di cucire. «Papà, quello è un laccio per tende. E l'hai pure cucito al contrario.»
Andrea si ferma un attimo, guarda quel lavoro mezzo stropicciato davanti a sé, poi scrolla le spalle con una disinvoltura studiata. «È design sperimentale, dai! Halloween è l'unico momento dell'anno in cui la moda e il caos possono davvero andare a braccetto.»
Sa bene che non è del tutto vero, ma è quel tipo di bugia che si dice per farsi coraggio, per non sembrare il solito papà imbranato che cerca di cavarsela con una battuta. Dentro, però, sente il cuore battere un po' più forte, perché questa festa è più di un gioco: è un piccolo rituale per riconnettersi con Alice, per essere quel papà che vuole essere, anche se spesso inciampa nei propri goffi tentativi.
Alice lo guarda di sottecchi, con quella smorfia scettica che conosce bene. «Ah, perché nel resto dell'anno tu saresti l'emblema della sobrietà?» ribatte, indicando con un leggero cenno del mento il bomber leopardato abbandonato sulla sedia come un trofeo kitsch.
Andrea non si fa pregare: le lancia un cuscino senza avvertire. Lei, però, è pronta — con un movimento agile che tradisce anni di allenamento nella schivata — e ride, divertita e complice.
«Comunque questo costume è 'na piccola opera queer, eh,» dice, stringendo il cuscino tra le mani. «Un incrocio tra uno spettro fashion e 'na diva cadaverica.»
Alice sorride sorniona, inclinando la testa. «Io direi più uno zombie che ha rubato un pigiama alla nonna drag.» Poi, con un gesto dolce e spontaneo, gli afferra l'avambraccio. «Però sei il papà più cool che ci sia. E il mio designer personale.»
Andrea sente un calore improvviso all'altezza del petto, un misto di orgoglio e tenerezza che lo fa sorridere senza controllo. Si china a sedere accanto a lei, cercando di non far traboccare la vaschetta piena di paillettes a forma di pipistrello, quasi temesse di rompere quel momento fragile e perfetto.
«Lo so,» dice con un tono finto vanitoso, ma con gli occhi che brillano. «E tu sei una delle poche persone al mondo che può dirmi che sembro 'na nonna drag senza rischià la mia ira funesta.»
Alice scoppia a ridere, poi si lascia cadere all'indietro, guardando il soffitto come se stesse già vedendo con la mente la scena della festa, i colori, le luci, l'atmosfera carica di promesse. «Vanessa ha detto che ci farà pure il trucco. Ci sarà anche Enea. E tipo... mezzo liceo.»
Andrea annuisce lentamente, con calma, mentre infila con precisione un bottone decorativo a forma di occhio, pizzicando il tessuto con cura. Ogni gesto è lento, meditato, quasi un rituale.
«Senti a papà: se il giovane Balestra-Ferro prova a fa' il cretino... lo fulmini con uno sguardo da strega e lo trasformi in rospo. Capito?»
Mentre sta per infilare l'ultimo filo di lurex nella macchina da cucire, sente la voce di Alice dietro di sé, tagliente e affilata come sempre, ma con quel tono che gli scalda il petto più di una tazza di thé alla cannella lasciata sul comodino.
«Papà... ti ricordo che ho preso da te. I miei sguardi sono micidiali. Ed io non vorrei trasformare Enea in un rospo, sai com'è.»
Andrea si volta lentamente sulla sedia, un sopracciglio alzato, il sorriso di chi sta per restituire la battuta con gli interessi. La loro complicità è una danza perfetta, fatta di tempi precisi e parole affilate.
Le fa un cenno con la testa, piegando le labbra in una smorfia teatrale. «Eh, questo perché ti piace, eh? Dio... mo' mi trovo Simone come consuocero. È la mia fine, giuro.»
Alice si accascia sul divano, il tessuto con le ragnatele glitterate le scivola addosso come una coperta magica che la protegge dal mondo fuori. Ridendo, si sistema con cura un bottone a forma di teschio sul pigiama, le dita sfiorano la stoffa con una delicatezza che tradisce il suo coinvolgimento profondo. «Guarda il lato positivo,» dice, con quel sorriso furbetto che nasconde mille pensieri, «poteva capitarmi di peggio!»
Andrea, appoggiandosi con un gesto teatrale al bracciolo, si porta una mano al cuore come se quella frase gli avesse scalfito l'anima. «Tipo? Un pariolino snob? Un trapper tatuato co' l'autotune al posto del core?»
Alice scatta in piedi, occhi che brillano di sfida. «Ah no, quelli so' la specialità tua!» esclama, puntandogli contro un ago come fosse una bacchetta magica. «No, dico... pensa se mi fosse piaciuto Jacopo. Sai che macello? Padre e figlia che sposano padre e figlio... uno de quei drammi da soap argentina.»
Andrea fa finta di svenire, rovesciandosi di lato sulla sedia da sarta con un'espressione esagerata da commedia. «Sei tremenda, pulce mia. Ma mi chiedo sempre da chi hai preso, eh. Una creatura così sfacciata e geniale...»
Alice si sporge verso di lui, prende il suo viso fra le mani, e con un bacio rumoroso gli pianta un segno sulla fronte. «Dal migliore, papi. Da te.»
Andrea la guarda, il sorriso si allarga fin quasi a commuoverlo. Allunga un braccio e la tira a sé in un abbraccio mezzo goffo, mezzo dolce, mentre i fili colorati si impigliano nei vestiti e i bottoni cadono sul parquet come coriandoli preziosi. L'odore dolce della colla a caldo si mescola a quello dei biscotti alle mandorle che si raffreddano sul tavolo, creando un'atmosfera quasi magica.
«Sai, a volte penso che crescerti sia stata l'unica cosa veramente riuscita della mia vita,» mormora, la voce bassa e carica di una tenerezza che non osa mostrare spesso.
Alice si stringe di più a lui, con un sorriso morbido. «Non l'unica. Hai pure uno stile imbattibile.»
Andrea ride, una risata profonda che riempie la stanza. Tra stoffe, ricordi, battute, baci e piume viola, tutto sembra al posto giusto, come se quel piccolo caos fosse l'ordine perfetto della loro vita.
Allunga la mano e scompiglia i capelli di Alice con affetto. «Ti manca qualcosa per la notte da Vanessa?»
Lei scrolla le spalle con nonchalance. «Solo la tua benedizione.»
Andrea alza le mani in un gesto teatrale da stregone romano. «Che le streghe te siano alleate, che gli spiriti te proteggano e che il trucco regga fino all'alba.»
«Amen,» risponde lei, schioccandogli un bacio sulla guancia tutta impiastricciata di colla glitterata.
Sono solo Halloween e qualche metro di stoffa, ma in quella casa, tra ago e risate, non si cuciono solo costumi: si cuce un amore complice, unico, pieno di luce.
Andrea infila a fatica una fila di paillettes sulla cucitura del bordo mentre Alice, ancora sdraiata per terra, sistema con cura i lustrini attorno a un piccolo teschio di stoffa che ha deciso di cucire sulla tasca. La luce aranciata del tramonto filtra dalla finestra, accendendo ogni bottone dorato e ogni cucitura argentata di una magia tutta loro.
A un tratto, Andrea si interrompe, sorride come chi si ricorda un segreto prezioso e non sa se condividerlo o tenerlo per sé. Bastano però due occhi curiosi a fissarlo perché il racconto inizi.
«Sai, l'ultimo Halloween, un paio di giorni prima che lasciassi Latina... quello è stato memorabile.»
Alice alza lo sguardo, affascinata. «Racconta.»
Andrea si appoggia sui gomiti, lo sguardo che danza nel ricordo. «Io e il mio gruppetto al liceo, un branco di disadattati meravigliosi, volevamo fare qualcosa di epico per Halloween. Avevamo convinto il preside a lasciarci la palestra per una festa a tema "spaziale". Solo che, ovviamente, siamo finiti a fare il Rocky Horror Picture Show. Tutti in costume. Coreografia compresa.»
Alice ride già, cercando di immaginarlo. «E tu chi eri? Magenta? Riff Raff?»
Andrea scuote la testa, un ghigno divertito sulle labbra. «Frank-N-Furter. Vestito verde brillante, guanti fucsia da piatti, reggicalze e stivali. Truccato come una diva, rossetto fino alle orecchie. 'Na bomba queer senza vergogna e con tanta lacca.»
Alice spalanca gli occhi, entusiasta. «No, vabbè! Giuro che DEVI farmi vedere le foto.»
Andrea sorride con aria misteriosa. «Le ho nascoste in una chiavetta USB sotto falso nome. Ma forse, se ti comporti bene... potrei pure mostrarti qualcosa.»
«Sono sangue tuo, papà. Il mio è diritto ereditario.»
Andrea ride, poi un velo di malinconia gli attraversa il volto. «Quella sera è stata una delle prime volte in cui mi sono sentito davvero libero. Non per il costume, ma perché eravamo noi, senza filtri. Tutti liberi, strani, fuori posto. E nessuno ci guardava storto. Anzi, era come se il mondo fosse costruito per noi.»
Alice si fa seria, per un attimo. «Dev'essere stato bello.»
Andrea annuisce, dolce. «Non perfetto, ma bello. Non c'era ancora tutta questa consapevolezza. C'era coraggio, euforia. Quella sensazione che forse non sei sbagliato, solo... un po' più scintillante.»
Alice gli stringe la mano, forte. «Lo sei ancora, papà. Scintillante.»
Andrea le fa l'occhiolino. «E tu sei la mia eredità più luminosa.»
Riprende a cucire con rinnovato entusiasmo, mentre fuori il giorno si spegne e dentro, tra aghi, colla e tessuti, si apre uno spazio dove i ricordi prendono vita, vividi e colorati, pronti a non sbiadire mai.