Chapter Text
Il cuore di Marc stava per fare "chock", ne era certo.
Aveva la tachicardia da quando era sceso all’aeroporto. Il suo cuore, seppur da atleta, non avrebbe potuto resistere a una cosa simile.
Il suo cervello non era riuscito a staccarsi dall’idea di stare davvero per andare a casa di Valentino.
E, soprattutto, di essere stato invitato da lui.
Insomma, che poi non era stato Valentino in persona a scrivere quell’e-mail, e nemmeno l’avrebbe mai fatto.
Però, il pensiero c’era sicuramente stato.
O, semplicemente, poteva essere stato Uccio a costringerlo con qualche discorso?
Fatto sta che Marc si trovò sotto quel cancello troppo presto.
Si fermò, prima di entrare con la macchina, alzò lo sguardo, lesse e cercò di trattenere un brivido, in vano.
Strinse le mani attorno al volante, così forte da farsi venire le nocche bianche.
-Forza, è il momento… Andiamo.- Marc, si disse da solo, annuendo e rimettendosi in marcia all’interno.
Percorse sì o no cento metri, su una strada sterrata, di quelle che aveva visto praticamente ovunque.
La campagna era tutta uguale, in tutto il mondo, dopo tutto: quelle strade con la stessa terra di quel colore chiaro e polveroso che ti fanno capire che ti sei palesemente perso.
Ma la campagna italiana, quella era tutt’altra cosa…
Quell’erba selvatica che spuntava ai lati della strada e che non veniva minimamente curata.
Quell’odore d’estate, delle piante scaldate dal sole.
E, soprattutto, una cosa che doveva ammettere essere la sua preferita: le case. Tutte rustiche, con quell’aria di vecchio, ma confortevole.
A Marc l’Italia piaceva davvero tanto.
Ma non era tutto oro trovarsi lì, in certe circostanze…
Mezz’ora prima si era fermato sul ciglio della strada (l'ennesima strada uguale, ma miracolosamente asfaltata). Aveva spento la macchina ed era sceso. Si era lasciato il piumino sganciato: dopotutto voleva solo dare un’occhiata migliore a quel panorama.
Si appoggiò alla portiera e restò lì.
Guardava, attento a ogni particolare, a ogni sfumatura del cielo.
A un certo punto si voltò, come colto da una scossa.
C’erano delle case in lontananza.
E, purtroppo, gli venne in mente il motivo per cui era lì, e come si era ritrovato a guardare la campagna.
Si agitò, ma cercò di non pensarci.
Iniziò a fare avanti e indietro.
Mille domande, nessuna risposta.
All’improvviso il suo telefono vibrò: era Pecco che gli chiedeva se avesse perso la strada.
Si agitò ancora di più, per un motivo a cui non fece subito caso.
Salì in macchina di corsa e ripartì.
Comunque, finiti quei cento metri, parcheggiò accanto ad altre due macchine, presumendo che quello fosse il parcheggio, o una specie.
Non fece troppo caso alle auto: tanto non avrebbe potuto riconoscere di chi fossero.
In compenso, banalmente, la sua attenzione finì sull’edificio: un insieme di edifici rustici.
-Ah, complimenti…- mormorò, con lo sguardo assorto sulla facciata dei vari edifici.
Senza pensarci due volte, tirò su la zip del piumino e scese, dimenticandosi per poco di chiudere la macchina.
Quel posto era decisamente più bello dal vivo, ma a lui interessava vedere la pista, anche se non ci avrebbe fatto nulla.
Dai video che aveva visto, perché sì, ne aveva visti parecchi di quel posto, Marc si rese velocemente conto che qualcosa era cambiato: qualche semplice ristrutturazione o ammodernamento.
Si fermò lì, nel mezzo del parcheggio, a fissare la casa e tutto il resto con un certo stupore.
Pensò a uno come Valentino che viveva lì, e ce lo vedeva proprio bene.
Con i suoi cani, con le sue bambine, con la sua compagna… E tutto il resto.
Mentre lui se ne stava in una casa asettica da quanto era moderna e semplice, senza cani, senza bambini e soprattutto senza ragazza.
L’unico che c’era (e direi, nel bene e nel male) era Alex, che ormai sembrava aver preso la residenza sul suo divano.
Patetico, sicuramente.
Però sentiva che era qualcosa che era “suo”.
All'improvviso sentì una mano posarsi sul sedere in una breve ma sentita pacca.
Si voltò di scatto e trovò la faccia di Pecco con un sorriso sornione.
Marc era così assorto da non rendersi conto che il ragazzo era appena arrivato e che, dopo aver parcheggiato, si era avvicinato a lui.
-Buongiorno e benvenuto al Ranch… Immagino?- ridacchiò Pecco, infilandosi le mani in tasca.
Prima che Marc potesse aggiungere qualcosa, anche solo un sorriso, l’altro parlò nuovamente: -Sei in ritardo, comunque.-.
Marc restò interdetto, ma sorrise lo stesso, capendo il tono scherzoso del compagno di squadra.
Pecco fece un cenno come per invitarlo a seguirlo, e così iniziarono a camminare verso l’edificio.
I due entrarono e lasciarono i loro piumini uno vicino all’altro sull’attaccapanni, che ne aveva solo altri due.
Pecco lasciò andare avanti Marc, che si sentì improvvisamente come un bambino nella fabbrica di cioccolato di Willy Wonka.
Non era nulla di eclatante.
Eppure, l’energia che si sentiva all’interno e le emozioni che emanava… Ah, quelle sì che erano la parte migliore dell’essere lì.
-Ragazzi? Marc è arrivato!- esclamò Pecco, avvicinandosi di qualche passo agli altri.
Proprio in quel momento, con la stessa velocità di un cane che sente il padrone tornare a casa, Marco arrivò nell’ingresso.
Si fiondò su Marc in un abbraccio dicendo semplicemente: -Marc!-.
Marc fu preso nuovamente alla sprovvista, per la seconda volta in nemmeno dieci minuti.
Però ricambiò l’abbraccio, che durò un minuto abbondante.
Pecco, da dietro, osservava la scena con due occhi pieni di gioia… O forse qualcos’altro, che sfuggì volontariamente alla comprensione di Marc.
-Non ci posso credere. Sei qui, al Ranch… Che fai?- rise staccandosi dallo spagnolo e guardandolo da capo a piedi.
Marc alzò le spalle, sorridendo.
Non avrebbe mai detto il vero motivo della sua presenza lì, se non sotto tortura o in altre poche circostanze.
-Pecco è venuto a prenderti?- chiese con un tono strano, un mix tra curiosità, sorpresa e invidia, guardando alternativamente i due.
-Dai, con la scusa del caffè?- continuò.
-Ma che dici? Ero davvero a prendere il caffè-.- rise l’altro, alzando una busta di caffè macinato, a cui Marc non aveva fatto minimamente caso.
-Bene… Prendiamo il caffè e aspettiamo gli altri? Manca ancora qualcuno.-.
Il caffè nella moka di Valentino era davvero buono.
O forse era il caffè della marca preferita di Pecco.
O il tocco di Marco che aveva buttato tutta la polvere fuori dal filtro…
Poco dopo Marc scoprì che in casa c’era anche Luca, che fino a quel momento era stato rintanato da qualche parte a farsi un lungo pisolino.
Esordì con: -Ho sentito dire Marquez? Che fratello c’è?- rigorosamente con la voce mezza addormentata, mentre Marco gli porgeva una tazzina di caffè passandogli accanto.
Alla menzione (palese) di Alex da parte del fratello di Valentino, Marc pensò che doveva essere davvero bizzarro essere il fratello di una persona del genere.
In generale, la parentela tra Luca e Valentino era bizzarra.
Dopo la seconda tazzina di caffè troppo zuccherato, Marc decise che era ora di andare a prendere l’unico borsone di vestiti che si era portato.
Anche se suo fratello gli aveva detto di portare almeno due valigie, aveva desistito (fortunatamente).
Luca insisté per aiutarlo, e Marc per fare da solo.
Ma il ragazzo lo convinse dicendogli che doveva svegliarsi e che il cattivo caffè di Marco non era utile.
Così, senza nemmeno rimettersi nulla addosso, uscirono verso la macchina.
Luca chiese molto di Alex.
Anzi, “molto” è dire poco.
Chiese continuamente come stesse suo fratello, perché non fosse venuto a salutare e tante altre cose simili.
Alla fine Marc si portò la borsa da solo.
-Chi fa da sé fa per tre.- disse Marc ridendo mentre rientrava in casa.
Pecco urlò dalla cucina di lasciare i “bagagli” vicino alla porta, dato che non aveva idea di quale camera gli sarebbe stata data.
Marc si ritrovò a girare per la casa da solo, in un silenzio che sembrava surreale per una casa che ospitava sette ragazzi, per di più piloti.
Eppure lo trovò fantastico.
Il resto dei ragazzi dell’Academy era arrivato.
Si erano salutati con grande sorpresa, ma felicità, da parte loro, che non si aspettavano certo Marc lì. E la loro felicità gli scaldò il cuore, facendolo sentire parte di qualcosa.
Eppure, in quel momento, sapeva che quella sensazione sarebbe scomparsa di lì a poco.
Così se ne stava nei giganteschi corridoi a fissare il colore delle pareti, che sembrava quasi cambiare in base alla luce.
Fissare i mattoni delle colonne, che gli sembravano troppo simili a quelli del pavimento.
E fissare le foto.
Ogni parete era tappezzata di foto con cornici neutre, come se dovessero mantenere la linea della casa.
Ma Marc poteva dire poco: forse lui nemmeno le avrebbe messe in casa, quella era una cosa più da Alex.
Ogni scatto ripercorreva un momento della vita di Valentino: da un giovanissimo lui che vince la sua prima gara a una banalissima foto di lui e Luca da bambini.
Valentino e suo padre.
Valentino e Francesca.
Quando nacque la sua prima figlia, e quella era così dolce che sulla faccia di Marc apparve un sorriso gigantesco.
E poi, come ogni pilota, iniziarono le foto sulla carriera, forse anche meno personali.
Valentino con i suoi amici piloti italiani.
Valentino con i ragazzi della VR46 di quell’anno.
Valentino e Jorge quando erano compagni di squadra in Yamaha (Marc, come noi, non credeva ai suoi occhi).
-Addirittura?- ridacchiò, da solo.
Poi Valentino e Simoncelli.
A quel punto la parete di foto era quasi finita, ma Marc si piantò lì.
Il suo sorriso svanì leggermente, forse per lasciare spazio ad altri pensieri.
La prima cosa che gli venne in mente fu Marco.
Sicuramente, quando si pensa al Sic non si può non pensare a quanto fosse simpatico.
Marc ricordava una battuta raccontata proprio da lui, una cosa semplice ma davvero divertente: qualcosa riguardo a un matrimonio.
E poi, che fosse bravo.
Marc sapeva che l’idea della VR46 Academy era partita proprio da lui (l’aveva letto qualche giorno prima) e non riuscì a non sorridere nuovamente.
Più guardava quella foto, più il suo sorriso si allargava.
Ma il "riepilogo", o meglio la fine prematura di un campione e di un’amicizia, gli sovvenne alla mente.
Era impossibile non ricordare, e inorridire, dell’incidente che pose fine a tutto.
La moto di Valentino che passava sopra la testa di Marco.
Valentino che si scusava con il padre di Marco.
Valentino che si sentiva responsabile della sua morte.
Ogni tanto Marc avrebbe voluto stringere Valentino e dirgli che il suo amico non gli avrebbe mai dato la colpa e che non era colpa sua.
Che, anche da lassù, lo guardava sempre e gli voleva bene, ancora più di prima…
Perché, avendo visto interviste relativamente recenti, Valentino sembrava continuare a sostenere la stessa cosa da anni.
E vedere Valentino Rossi così, soprattutto da parte di Marc, era un colpo basso.
Paradossalmente, non voleva vederlo soffrire.
Ma allo stesso tempo voleva che provasse lo stesso dolore che aveva provato lui per mano sua.
La saliva gli si bloccò in bocca, senza che riuscisse a mandarla giù.
In quel momento fece per continuare a guardare la serie di foto di quella parete, quasi alla fine, ma un clacson, o almeno quello che sembrò un clacson, lo fece voltare.
Pensò che dovesse essere l’ultimo dei ragazzi, magari qualcuno di cui non aveva notato l’assenza.
Così, quasi per curiosità e per fuggire da quelle foto, andò verso la porta d'ingresso ed uscì.
Se ne pentì subito.
Non poteva farsi gli affari suoi?
Che poi, l’aveva sentito davvero un clacson?
Fatto sta che si voltò, con un’espressione impietrita, verso le quattro persone lontano da lui.
Valentino, la sua compagna e le due figlie.
Per poco non ebbe un mancamento.
Però restò lì, fermo, senza muoversi.
Valentino aveva le spalle rivolte a Marc; era accucciato a parlare con la più grande delle sue figlie, che stringeva una copertina gialla e lo guardava con attenzione.
L’altra, essendo più piccola, era in "braccio" alla madre, Francesca, dentro un ovetto che la donna teneva in mano.
La bambina più grande annuì a qualcosa che le disse il padre, abbracciandolo.
In quel momento Francesca sorrise, e Marc non poté fare a meno di guardare anche lei.
Okay, ma Giulietta che abbracciava Valentino era davvero dolce, Marc non avrebbe potuto negarlo!
In quel momento, la donna alzò lo sguardo dalla figlia, probabilmente sentendosi osservata, e incrociò lo sguardo di Marc.
Francesca non si fece scrupoli e salutò l’uomo con una mano, sorridendo.
Marc ricambiò con un semplice sorriso e un cenno del capo.
A quel punto tornò a guardare Valentino e la bambina, che porse al padre la copertina che teneva in mano.
Marc, anche da lontano, si accorse che su un angolo della coperta c’era una tartaruga ricamata sopra.
Sorrise, nuovamente.
Fu felice di essere una persona dai buoni principi, che non avrebbe mai potuto odiare la famiglia, tanto meno le figlie, del proprio più grande rivale.
In più, Marc amava i bambini.
Valentino prese la coperta dalle mani della figlia, che evidentemente insistette perché la tenesse lui, e dopo averle dato un’ultima pacca sulla testolina, appallottolò la coperta e la infilò in tasca.
Poi si alzò, dando un bacio alla compagna e accarezzando la figlia nell’ovetto.
Quando Francesca finì di sistemare le bambine sui seggiolini posteriori, chiuse lo sportello e si girò verso Valentino, esclamando qualcosa: -Comportati bene!-.
La donna rise, e Valentino la imitò.
E quando la macchina sparì dalla strada, oltre il cancello, Marc restò a guardare l’uomo.
Valentino, toccandosi la tasca in cui aveva riposto la copertina della figlia, restò a fissare il cancello automatico che si chiudeva con un lieve cigolio.
Poi si voltò…
Marc avrebbe mentito a sé stesso dicendo di non aver aspettato quel momento per anni.
Valentino lo vide e sorrise.
Un sorriso… Strano?
Un sorriso alla Valentino Rossi: un po’ enigmatico, ma maledettamente bello.
L’altro restò lì, impalato, mentre l’italiano si avvicinava a lui con passo tranquillo.
Si fermò a qualche metro da lui, perfettamente davanti, e parlò: -Da quanto tempo, Marc…-.
Nessuna suspense inutile.
Nessun sentimento nello sguardo.
Niente di niente.
Solo Valentino che guardava Marc con quel sorrisetto che l’altro aveva sempre trovato troppo malizioso e enigmatico. Non sapeva mai cosa volesse dirgli davvero.
-Quanti anni saranno? Dico… che non ci vediamo così. Un faccia a faccia, diretto?- continuò Valentino, continuando a sorridere.
Marc non seppe minimamente cosa dire, così alzò le spalle: -Parecchi?-.
Valentino annuì, ridacchiando.
Si avvicinò ancora, davvero troppo vicino per i gusti dello spagnolo, e lo fissò un’altra volta.
Quel maledetto sorriso.
Marc, in un impulso che nemmeno lui saprebbe spiegarsi, allungò la mano.
Gli stava chiedendo di stringergliela.
Gli stava chiedendo di stringergli la mano?
Davvero?
Valentino fu colto alla sprovvista quel che bastava per fargli alzare leggermente le sopracciglia, ma poi, con una freddezza quasi crudele, scosse leggermente la testa e con un sorriso più largo entrò in casa.
Lasciò Marc lì, con il braccio alzato e la mano aperta, lo sguardo fisso davanti a sé.
Un flashback invase la mente di Marc quasi da solo: Misano 2018.
Sentì la porta chiudersi con un suono cattivo.
E poi solo il silenzio dell’esterno. Pauroso.
Marc strinse la mano così forte da farsi diventare le nocche bianche e le unghie incise nella pelle.
Poi parlò, con un sorriso amaro e gli occhi leggermente lucidi, nuovamente da solo: -Stronzo, eh…-.
